TANGO NUEVO OVER THE TOP!
4° Festival Internazionale di Tango Argentino in Romagna
Federico Naveira & Inés Muzzopappa
(per la prima volta in Italia)
D.J.TangoGrooveMaster...latin strut music, contemporary sound
Una nuova rubrica dedicata alle mie milonghe preferite in Italia.
Parto inevitabilmente da quella che più di ogni altra ho nel cuore. Milano, Viale Bligny… ARCI BELLEZZA. Forse perché la lego ad un anno speciale, quando borsista dell’Accademia di Brera, vivevo nella metropoli meneghina. Un anno frenetico, speso e consumato fra inaugurazioni e vernissage di gallerie d’arte, film d’avanguardia, shopping e tanto tango. Non ancora suonavo così tanta musica e mi scatenavo più a ballare. Segno il Bellezza ad un filo rosso di un’età dell’oro del tango italiano, quando l’innovazione/evoluzione nel tango era lungi dal diffondersi, e per conoscere un percorso personale e diversificato nel tango, lontano dai clamori dello show e della vetusta tradizione della pseudo cultura Gardel – milonguero viejo bisognava approdare solo in quel circolo Arci, dove un pioniere di quello che si chiamava, e forse in modo abusato ancora oggi, tango nuevo. Il pioniere in questione è Alberto Colombo, di cui parlerò in un post successivo, che per primo ha proposto la lettura del tango di Gustavo, ritengo inutile apporre i cognomi a personaggi che conosciamo tutti, le dinamiche di Fabian, l’astro nascente di Chicho. Mi ricordo la mia prima volta al Bellezza, una festa con Gustavo y Giselle, leggendaria: un’energia mitica, tanti tangueros diventati celebri nel nostro paese, da Germano a Paolo e Karola, Anna, Haim, Maki e la Giosi, la mia zia di Cerignola, amici da Lugano, Mimmo Cerminara in consolle.Ricordo anche al Bellezza il debutto in Italia di Ezequiel Farfaro con Milena Plebs, e qualche anno addietro una serata da brivido con Chicho y Eugenia. Ho sempre ballato da dio al Bellezza, credo anche per il clima conviviale ed assolutamente informale, di gente venuta sempre e solo a divertirsi, senza pregiudizi pseudo culturali, dove tutti sono pronti a darti una dritta per “far uscire “ un passo, o suggerimenti per nuove dinamiche. Stavo per dimenticare anche le serate dove ho suonato musica, special night con l’esibizione del padrone di casa, Alberto con Alessandra Rizzotti, gran talento di cui parlerò in un altro post, e soprattutto le leggendarie pratiche domenicali. Si partiva alle 14 – 15 per finire alle 22.00 seduti ad una mega tavolata sempre al Bellezza a cazzeggiare e divertirsi. Che tempi! Vorrei continuare, ma forse cercherò di rievocare qualche emozione guardando vecchie riprese in vhs del locale per fruire ancora una volta della magia del posto. Non potevo non scegliere l’Arci Bellezza come milonga della mia vita… e mi ricordo ancora quando girando l’Italia con un gruppo di amici, 6-7 anni fa, si diceva imbattendosi in una serata di merda
( musica fiacca, pubblico smorto e vecchio, livello di ballo down…) : “ Va bè la prossima settimana recuperiamo al Bellezza…”
Il più grande noir italiano di tutti i tempi. Milano Calibro 9 girato dal leggendario Fernando Di Leo apre la grande trilogia della città violenta. Lo spazio è una Milano notturna, uggiosa, dove a regnare è una mala che non c’è più, e dove sta scomparendo il romanticismo dei gangster. È la Milano di Ugo Piazza, il compianto Gastone Moschin che ha piazzato un colpo ai danni del boss americano, ma non riiuscirà a goderselo. Fernando Di Leo serra e dilata i tempi grazie anche alla magistrale colonna sonora degli Osanna. Tanti i personaggi, da un crepuscolare Philippe Leroy ad una sexy e cinica Barbara Bouchet, alla lotta di vedute di due commissari espressione di altrettanti weltanschauung. È l’universo di Fernando Di Leo, dove nessuno ha scampo, ma dove noi parteggiamo invariabilmente per Ugo Piazza. Milano Calibro 9 è un cult straordinario, presentato in una sua versione restaurata anni orsono alla mostra del cinema di Venezia, il rimpianto di un cinema d’azione, teso, senza retorica che manda a farsi fottere tutte quelle merde di distretti di polizia e fiction del cazzo. D’altronde questo lo ha girato un mito: Fernando Di Leo.
Il re dell’Afrobeat. La leggenda del ritmo che pulsa nella vita. È questo il post che voglio dedicare al grande FELA KUTI. L’ho scoperto tanti anni fa, quando ero ancora un ragazzo sconvolto dalla drammaticità e potenza di quel suono, di quel rullare. Ma chi è “The Black President? E’ l’Africa. E l’invito a predersi nei meandri, delle sue lunghe, infinite digressioni: Shakara, Zombie, No Agreement, Army Arrangement.
I Joy Division erano una rock band inglese formatasi a Salford, nella contea di Greater Manchester, nel 1977. Il nome del gruppo deriva dalla denominazione delle baracche femminili dei campi di concentramento nazisti di cui racconta il libro "The house of dolls" di Ka-Tzetnik 135633 del 1955. Le donne imprigionate nell'area che portava questo nome erano trattate come prostitute, e usate come mero oggetto sessuale da SS e soldati tedeschi. Le liriche di No love lost contengono un esplicito riferimento al libro.
Leader carismatico del gruppo fu Ian Curtis, suicida il 18 maggio del 1980, all'età di 23 anni. I quattro iniziarono la loro avventura musicale a Manchester con il nome di Warsaw (derivante dal titolo di un brano di David Bowie) cambiandolo successivamente in Stiff Kittens e quindi inJoy Division, dopo la pubblicazione dell'EP An Ideal for Living. I Joy Division pubblicarono i loro album con la casa discografica indipendente Factory Records, gestita dall'impresario Tony Wilson, con cui pubblicheranno successivamente anche i New Order e gli Happy Mondays.
Caratteristica dal punto visivo nei Joy Division sono le digressioni e degenerazioni e le movenze di Ian Curtis, con le quali il front man simulava gli attacchi provocati dalla epilessia della quale era affetto e che forse va annoverata tra le cause che lo spinsero al suicidio. Suicidio che avvenne alla vigilia di un tour americano che aveva già fatto registrare uno straordinario successo in prevendita, poco prima dell'uscita del secondo album Closer, la cui copertina (raffigurante una delle statue del cimitero monumentale di Staglieno) era stata decisa prima della morte di Ian Curtis, almeno così giurarono gli altri componenti del gruppo. Ian Curtis fu trovato impiccato alla rastrelliera della cucina della abitazione di sua moglie Deborah, nel quartiere di Macclesfield, la mattina del 18 maggio 1980. Con lui finì la tragica avventura dei Joy Division. L'immaginario lirico presenta tinte fortemente goth, intrise della disperazione personale di Curtis. In più passaggi le liriche nascondono messaggi di morte che preannunciano i propositi suicidi del loro giovane autore (New Dawn Fades, Something Must Break, Disorder, Insight,Passover), rendendo lugubre ed opprimente l'atmosfera delle canzoni, nelle quali non si rinviene mai una apertura rispetto a tale clima ossessivo. Caratteristica musicale principale, accanto alla voce singolarmente baritonale e melodrammatica di Ian Curtis, è invece il dominio del basso di Peter Hook e della batteria di Stephen Morris, a discapito della chitarra di Bernard Sumner (chitarrista, invero, di livello mediocre). La sezione ritmica dei Joy Division (che spesso faranno ricorso, ad esempio, ad insoliti tempi dispari) farà scuola in tutta la new wave successiva ed in particolare nel dark rock degli anni 80.
I Joy Division restano oggi tra le più famose ed influenti meteore della storia della musica moderna, ed il loro fantasma non ha mai smesso di aleggiare nella ben più lunga carriera del gruppo nato dalle loro ceneri: i New Order. La disperata malinconia dei testi (I remember when we were young cantava il ventenne Curtis) e le musiche spesso veloci e cadenzate che li sottolineavano, per quanto abbiano costituito la cifra stilistica inimitabile dei Joy Division, hanno rappresentato il modello con il quale hanno dovuto fare i conti tutti i gruppi inglesi pop-rock degli anni successivi. Come i Sex Pistols, e il punk in generale, avevano insegnato che si poteva suonare anche senza essere dei virtuosi, così i Joy Division, in piena era Thatcheriana, dettarono la linea ad una generazione che non aveva alcuna voglia di sorridere, mostrandole che non si era costretti a farlo neppure su un palco.
La vicenda umana e persino musicale dei Joy Division è singolarmente paragonabile a quella degli americani Nirvana di Kurt Cobain, anch'egli morto suicida. E' singolare un verso di una delle più belle canzoni dei Joy Division, la tragica New Dawn Fades, in cui Ian Curtis, parlando implicitamente della propria intenzione di suicidarsi, in realtà profetizza quanto accadrà a Cobain negli anni '90. La canzone dice Directionless so plain to see, a loaded gun won't set you free. So you said (in italiano: Senza direzione è così chiaro, un'arma carica non ti renderà libero. Almeno così dici tu).
Le vicende dei Joy Division, della Factory Records e del movimento musicale di Manchester a cavallo tra gli anni '70 e '80 sono descritte nei film 24 Hour Party People (2002) e Control (2007)