domenica 25 settembre 2011

Epigrammi pittorici di Walser


Quasi un divertissement tra i grandi artisti del 1800 e non solo. Per lo scrittore elvetico Robert Walser i quadri dei suoi pittori preferiti sono una scusa per parlare di sé, del suo mondo, e delle proprie sensazioni.

Adelphi ne “Ritratti di Pittori”, ci regala un libretto da leggere in velocità, succulento perché tratta la materia da profano e non con astrusi cavilli interpretativi. L’Icaro di Bruegel o una Venere tizianesca generano un commento rapido e fulmineo, quasi un motto oraziano. Impressioni fugaci, ma non perquesto meno profonde.

Walser dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno che l’arte è davvero alla portata di tutti, basta solo riconoscerla e piegarsi ai suoi potenti tentacoli. L’importante ci dice l’autore è dialogare, come con l’Olympia di Manet cui scrive una lettera o con le forme plastiche di Cezanne che escono prepotentemente dalla cornice.

Sensazioni che mi rimandano ai tempi dell’università, anche se spesso non mi capitavano volumi divertenti e leggeri, o meglio leggiadri come questo.

Storia della Blue Note Records... quando la musica era parte di un altro mondo




La letteratura musicale pullula di testi banalmente
biografici o tediosi elenchi telefonici con discografie e profili vari. È una
vera gioia imbattersi in un testo avvincente che si legge tutto di un fiato
riguardante la storia dell’etichetta per antonomasia del jazz mondiale.

“Blue
Note records. La biografia”, saggio di Richard Cook tradotto in italianao dai
tipi della Minimum Fax è uno spaccato temporale dell’America dagli anni ’30 fino
ai riflussi contemporanei. Una avventura, o meglio il sogno di due immigrati
tedeschi , Alfred Lion e Francis Wolff che a New York partoriscono una creatura
destinata a cambiare ed innovare la storia del jazz. Seguendo un istinto
personale infallibile, pubblicare soltanto la musica di proprio gradimento. Una
estetica quasi rock e punk per certi aspetti. Leggere questo volume vuol dire
imbattersi nella genialità dei tanti artisti che hanno inciso per la label, dal
mitico Thelonious Monk che inaugura la lunga sfilza di capolavori nel 1947al
pianismo sofferto ed appassionato di Bud Powell per passare ad un altro genio
del be bop, Fats Navarro. Aneddoti e segreti dei grandi musicisti e spaccati di
quotidianità sono mixati in modo suggestivo, con una narrazione che ha molto dell’andamento
cinematografico. E poi altre leggende, Miles Davis, Horace Silver, Milt
Jackson, Art Blakey. Nel passo introduttivo del testo si legge:



Le aziende non
hanno una loro mistica, le etichette discografiche sì: emana dalla copertine,
dalle fodere interne, dagli spessi dischi in vinile e dalla musica che viene
fuori quando li fai girare sotto una puntina. Qui vedremo come questa mistica
s’è formata e come sia durata fino ai giorni nostri. Oggi i dischi non portano
più etichetta. Il titolo e le altre informazioni vengono stampati direttamente
su dischetti d’argento prodotti da società gigantesche, la maggior parte delle
quali si comporta come se stesse vendendo cereali per la colazione o lucido da
scarpe. Non è mia intenzione essere nostalgico, ma quelli erano altri tempi,
davvero.




Davvero un altro
mondo, quello in cui non c’erano gli anonimi MP3 o i freddi cd, ma il caldo
vinile con le stupende copertine illustrate da grandi artisti. Forse
ripensandoci ho davvero nostalgia per quell’altro mondo.


venerdì 9 settembre 2011

Tobor experience...trip dal passato sci fiction


Un grandioso mix di elettronica e funk che ci riporta addirittura indietro alla cosmic music ed a tutte quelle sonorità " spaziali" alla Alan Parsons.


Disco Experience, il debutto di Tobor Experience denota fin da subito una maturità sorprendente con quel fascino retro che avvolge prepotentemente le linee di basso. Come se viaggiassimo dentro un trip cinematografico che accavalla ricordi mai sopiti di certo trench touch fine anni'70, ma privo della superficialità di tanta cocktail music.


Affascinante la rilettura di un classico del duca bianco quale Station to Station. Il romanticismo della disco contemporanea? Da una etichetta quale la Bear Funk questo ed altro. E scoprendo che l'artista é italiano orgoglio doppio. Le sperimentazioni anche in Italia mostrano talento.

lunedì 5 settembre 2011

Siracusa Tango Festival 2011: in cerca dell'immortalitá tanguera


Se penso al Siracusa Tango Festival mi sento travolto dalle emozioni, dai ricordi, dalla passione evocativa che coniuga il fascino del tango alla suggestione dell’Ortigia, ai profumi del mare e della Mediterraneità.

Sono già trascorse cinque edizioni per quello che, non solo io, considero uno degli eventi di riferimento nel panorama tanguero mondiale, e ciò nonostante ogni anno le sorprese non mancano, così come aumenta il numero degli aficionados. Vuol dire che gli organizzatori hanno lavorato bene, vuol dire che il pubblico conferma la bontà delle loro scelte, vuol dire che il calore della Sicilia, umanamente parlando, è davvero irresistibile. La milonga Zen ed il Castello Maniace sprigionano una potenza elettrizzante in grado di sciogliere perfino il tanguero più timido e scatenare l’irresistibile voglia di ballare e socializzare che è alla base del tango, per definizione appunto ballo sociale.

Il percorso artistico, didattico ed umano di Claudio e Barbara è straordinario, ormai sono al top a livello europeo e se lo sono vuol dire che la loro carriera è a prova di bluff. Serietà e tenacia abbinate a qualità e talento artistici hanno dato i loro frutti. Così come fondamentale è l’apporto di Fausto. Il suo contagioso “potere” aggregante indubbiamente caratterizza l’evento aumentando il tasso di internazionalità ed elevando il livello tanguero.

Ma il fenomeno Siracusa è ancora una volta la prova provata che se un Festival si avvale di un grande cast artistico e di una ottima organizzazione, oltre che di location splendide è destinato ad essere un successo. Le tre coppie di maestri hanno coperto un ampio spettro degli stili tangueri. Il Pajaro e Belen con la loro grande carica ritmica ed istrionica, Mario e Anabella, una seducente densità del movimento, Sebastian e Mariana, imperiali nella loro esecuzione di tango come arte assoluta. Sabato sera inoltre l’Ensemble Hyperion con le sue sublimi note ha trascinato in pista una folla indemoniata pronta a consumare la notte ed ogni stilla di sudore.

Ma ritengo che l’immagine più straordinaria sia quella del pubblico di Siracusa. Ogni anno puntuale, come un antico rituale che si nutre di arcani segreti, si scatena l’epifania del miracolo tanguero. 1400 persone che condividono non per un istante ma per ben dieci ore, le stesse sensazioni, la stessa musica, la magia di un ballo, di un’esperienza dove si cerca di ritrovare nel proprio partner del momento la medesima quota che si decide di abbandonare in un tango. Dalla consolle cerco di intuire i meccanismi di questa magia, ma è inutile…prende il sopravvento lo sguardo trasognato delle tanguere che si abbandonano in un romantico Canaro, o l’estasi ritmica di D’Arienzo, o il graduale scivolare della notte nella struggente alba dell’Ortigia. Il Castello Maniace è davvero un tempio emozionale del tango e credo che questa location sia da parte di Claudio un grande omaggio al popolo del Siracusa Tango Festival.

Naturalmente il web è invaso da video e fotografie che cercano di effigiare i ricordi e le sensazioni dell’evento. Ma i ricordi e le sensazioni più profonde credo rimangano dentro di noi, custodite nello scrigno della memoria. A prova della scalfittura del tempo. Ogni anno Siracusa rappresenta almeno per me un momento di intensa convivialità, dove ritrovare vecchi amici, parlare e cazzeggiare nel cuore della notte, godere intensamente del profumo delle zagare, del calore straordinario dei siciliani.

Ma quando vedo una pista piena alle otto del mattino con sguardi ancora desiderosi dell’ultima tanda comprendo il perché del successo di questa manifestazione. Al Siracusa Tango Festival ognuno è protagonista dell’evento perché comprende di aver partecipato con la propria tensione emotiva al groove della notte, a rendere indimenticabile e unica questa kermesse.

Spesso si dice in un tango la vita… ma forse se al Siracusa Tango Festival balliamo tutta la notte senza fermarci vuol dire che cerchiamo l’immortalità, tangueramente parlando.

Panico nella banalitá della violenza


Spesso nelle storie apparentemente banali si annidano drammi e violenze. Non fa eccezione Panic del regista americano Henry Bromell che annovera nel cast anche un mostro sacro del calibro di Donald Sutherland. Una pellicola priva di maniaci ed accelerazioni parossistiche ipertrucide, ma grazie a lunghi silenzi e campi lunghi tipici di tanta iconografia classica made in USA crea una tensione crescente che inevitabilmente sfocia nel dramma.


Tema dominante l'omicidio su cui si intrecciano i rapporti tra nonno e nipote. Il primo é stato un killer prezzolato che ha trasmesso i segreti del mestiere di famiglia a suo figlio che, stanco del logorio di questa professione sui generis é andato in analisi. Un ritratto di famiglia dall'interno, inconsueto e per questo affascinante che dimostra come spesso il male nasca e si nutra dell'assoluta normalità.


Un film da recuperare, girato in tono minore ma non dimesso . Poetico nel minestrone volgare di tanta produzione contemporanea a stelle e strisce.

Tokyo Fist... geniale


Un rampante agente assicurativo di Tokyo trascorre una esistenza ordinaria incentrata sui ritmi lavorativi e sul rapporto con la sua fidanzata Hizuru con cui vive. Casualmente mentre assiste ad un incontro di pugilato si imbatte in suo vecchio amico del liceo, Takuji, diventato pugile professionista, ma cerca di evitarlo a tutti i costi. Poco tempo dopo al lavoro lo incontra e resta sbalordito della familiarità e complicità che il compagno ha con la sua fidanzata. Il tarlo della gelosia si insinua in lui e ritenendosi vittima di un tradimento, é pronto a sfidare in un incontro all'ultimo sangue Takuji.


Una stupenda parabola sul Giappone contemporaneo, dove la società ipertecnologica si contrappone ad una realtà sotterranea ancestrale, fatta di impulsi primari, vitali ed ancestrali. Si potrebbe definire un romanzo di formazione al rovescio dove il protagonista é costretto a scendere nel mondo del suo antagonista, cambiare la sua Weltanschauung rinascere a nuova vita. Il suo corpo grazie alla boxe, deuteragonista della pellicola al pari di una livida Tokyo, si scrolla una pelle stantia ed apatica, indolente nella sua perfezione, e grazie alla sofferenza, ai lividi ed al dolore somatizzato diviene una corazza.


Uno scontro di civiltà che sceglie come arena la futuristica ed allo stesso tempo medioevale capitale nipponica, presagendo il dramma che attraverserà questa società negli anni seguenti.

domenica 4 settembre 2011

Memento , Il labirinto della memoria by Nolan


Un gioco affascinante fra labirinti temporali, immagini che si rincorrono e frammentano il plot narrativo. Una trama quasi nulla che si avvicina al noir ma, sembra perdere man mano che si susseguono le scene la propria memoria. E questo esercizio stilistico coinvolge sia il protagonista, un bravissimo Guy Pearce, che lo spettatore.

La trama, se di trama si può parlare, narra di un uomo misterioso che sfoggia abiti firmati e guida lussuose auto girovagando peró tra anonimi motel, inseguito da uno tipo nell'ombra che ne controlla le mosse. Ma anche lo stesso Leonard, questo il nome del protagonista, cerca in tutti i i modi di segnare ogni sua minima azione, appuntandone i contenuti o scrivendoli sul proprio corpo a guisa di una ancestrale body art. La risposta deve essere tutta nella sua mente, che peró dimentica in fretta, cancellando di colpo ogni ricordo e costringendo all'iterazione.

Un puzzle che va costruito nel presente da integrare con fatica attraverso i tasselli del passato. Christopher Nolan, il regista diabolico di questo film di fine millennio, schiavizza lo spettatore all'immagine ed alla narrazione avvitandolo in una lettura alquanto ardua. Lo sforzo mnemonico come sintassi necessaria a scardinare una trama sulla superficie esile , ma nel profondo densa, ed occultante un torbido segreto.

Ricordare per non dimenticare.


Veritá molto nascoste


Il passato spesso non é solo un fantasma ingombrante, ma una presenza ossessiva in grado di spedire in paranoia una coppia apparentemente solida quale quella formata dai due protagonisti de Le Veritá nascoste, Harrison Ford e Michelle Pfeiffer.

Con questa pellicola Robert Zemeckis omaggia in maniera forse fin troppo esplicita il maestro Alfred Hitchcock. Il passato che ritorna in maniera sotterranea come fantasma che man mano é sempre più evidente, frulla in un sol colpo capolavori quali Psycho, La finestra sul Cortile ( con la Pfeiffer che spia la vita di una coppia che abita di fronte), il Sospetto, mentre le reincarnazioni della donna misteriosa evocano il fantastico Vertigo.

Gli spazi della visione, i campi stretti ed ossessivi, gli isterismi della coppia funzionano come nel maestro Alfred per irretire lo spettatore, sconvolgerlo, renderlo sempre più fragile ed asservirlo alla logica del thriller. Un magnifico esercizio di stile: se la protagonista nella sua maniacalitá, raccoglie prove, fa deduzioni e codifica, lo spettatore a breve distanza itera le mosse, i tradimenti, le cadute di stile.

Ma chi emerge in questo film come dominatrice della scena é la casa, un vero e proprio regno dello spirito e delle contraddizioni che sembra animarsi e nei suoi angoli, nei suoi specchi e nelle visioni deformanti é la palestra dove realtà e fantasia, protagonisti e fantasmi scatenano un agone senza eguali.

sabato 3 settembre 2011

Sergio Chiaverini, l'impeccabile lettura sonora del piso


Molti ritengono che per musicalizzare sia un grande vantaggio ballar bene. Si intuiscono perfettamente i gusti dei ballerini e si anticipano i gusti e le esigenze della pista.


Se questa tesi é valida allora Sergio Chiaverini parte con un grande vantaggio, difficilmente colmabile da molti altri. Lo ritengo uno dei migliori tangheri presenti in Italia. Basta solo vedere come esegue il giro, un fondamentale che neofiti tangheri venuti su negli ultimi anni a pane e volcada, merenda e colgada ignorano beatamente (impunemente?), per capire che conosce il tango come pochi. Forse proprio per questo se ne infischia da pseudo mode e ridicole tendenze, e vive l'universo tango da appassionato in modo straordinario al pari della sua partner Francesca.


Ma il talento di Sergio si esprime oltre che in pista al meglio anche in consolle, con una direzione orchestra eccelsa.Un ritmo serrato e mai monocorde che lega in un pentagramma affascinante ritmica e melodia, lirica e pathos, coprendo in un ventaglio più ampio possibile le possibilità dello scibile tanghero. Ogni orchestra, al pari di un tassello imprescindibile in una costruzione armonica, trova spazio nella sua selezione, da D'Arienzo a Pugliese passando per Caló e Donato. Nessuna é trascurata.


Autentiche gemme sono le sue tande di milonga . Ma qui Sergio gioca sul velluto perché la sua passione per questa "specialità" é evidente, e la trasmette a tutta la sala. Spesso mi chiedo come faccia a resistere in consolle… dovrebbero forse creargli una minimilonga personale a ridosso della sua postazione dove consumare la traccia ballando. ma forse il suo pudore tanghero e rispetto del pubblico glielo impedirebbero, consapevole del ruolo del musicalizador, ovvero il demiurgo che genera l'energia del compas.


Ed in questo Sergio é un vero guru.

Blow...the American Bad Dream


Da semplice "spinellomane" a leggendario trafficante di cocaina negli USA dei seventies. Piu'che la biografia di George Jung ( interpretato magistralmente da Johnny Depp) il ritratto dell'evoluzione della società americana, il sogno di libertà e le rivendicazioni giovanili, le droghe come ribellione ed infine fondamenta della criminalità.


Il film di Ted Demme é un riuscito ritratto divertente e spietato del sogno americano a rovescia. qui il self made man é un delinquente e la storia non é altro che l'ascesa di un re del traffico di polvere bianca. Dalla California dorata dei surfisti e delle ragazze in costume si passa alla cupa e famelica america reaganiana dei primi '80. A metá tra lo Scorsese della maturità e líperrealismo di "Quei Bravi ragazzi", lo spettatore scivola in un'atmosfera cupa e plumbea che sottende una discesa negli inferi e soprattutto nella polvere del protagonista, vittima dei suoi stessi amici che gli si ritorcono contro. Insospettabilmente convincente nella recitazione anche Penelope Cruz, attrice da me non stimata particolarmente.


Forse non sarebbe guastato un filo di tensione in più ed un ritmo talvolta più serrato, ma certo Ted Demme non é Scorsese.

Sul rogo delle veritá


Forte é il confronto con il capolavoro di Dreyer "Dies Irae". Ed anche in Gostanza da Libbiano di Paolo Benvenuti siamo nel territorio circoscritto del cinema come arte. O meglio cinema allo stato puro ed incontaminato che attraverso geometrie delle immagini e rigore di inquadrature avoca una potente riflessione introiettavi. Una riflessione ed un viaggio all'interno delle dinamiche del potere che attraverso il canovaccio del processo alla stregoneria rivolge un j'accuse all'inquisizione condotta dall'arroganza e dalla cieca superiorità di chi ritiene di detenere la unica ed incontrovertibile verità. Al di lá del rogo e dell'ammissione di colpa una discesa senza ritorno dentro gli abissi che si celano nell'animo umano.

giovedì 1 settembre 2011

Punto Y Branca... ogni ascolto crea emozioni diverse


Un grande talento in grado di creare una dimensione sonora in cui tutto ciò che si é sentito emoziona come al primo ascolto.

Un mix di presenza scenica e classe dove anima e corpo sono equilibrati sfoggiando una cultura musicale sopraffina.

Cultura non sterile erudizione.

Punto y Branca, o meglio l'amico Jorge ci regala ogni volta in consolle le sensazioni di vivere la magia del tango, le sue atmosfere che rendono unico questo universo. Chiamarlo ballo o danza sarebbe riduttivo. Sia nella programmazione classica che nelle serate Gotan, un pioniere in Italia in questo senso, emerge il lavoro certosino di chi non lascia nulla al caso, ma che usa il suo gusto, la sua sensibilità come un sensore per recepire gli umori del pubblico e modellare il modo sonoro.

Il groove al pari di una grande highway dove vivere le esperienze tanghere. Ballare o semplicemente ascoltare. Non importa. Credo che Jorge voglia lanciare al pubblico, che giustamente lo adora, un messaggio: il tango va vissuto.In tutta la sua interiorità, nelle sue contraddizioni forse, ma mai privandosi della sua seduzione.


Un vero artista, forse pochi lo conoscono in questa dimensione… ritengo che il mondo del fumetto con le gloriosi pubblicazioni della Topolin debbano molto a Jorge.


Un vero artista anche perché discreto e se pone innanzi la sua arte rispetto alla sua persona, non é per falsa modestia, ma perché … al compas signori, non si comanda!