Ricordati di santificare le feste. Non vorrei essere tacciato di blasfemia, ma applicando questo precetto all’evento Pasquale non posso esimermi dal parlare di uno dei più grandi eventi tangueri mondiali: il Torino Tango Festival. Giunto alla sua decima edizione, mi ricordo ancora la prima a Moncalieri, è attualmente ospitato al Lingotto. Un centro che rappresenta la storia industriale italiana, legato com’è alla Fiat, sia dal punto di vista produttivo che artistico, ospita all’interno la Pinacoteca Agnelli. Discutere di tango a Torino vuol dire inevitabilmente parlare di Marcela Guevara e Stefano Giudice. Anche se il ricordo va in maniera doverosa a Pedro Monteleone, personaggio di grande caratura nella storia e cultura tanguera. Anche quest’anno il Festival si è dispiegato in tutta la sua armonica ed impressionante bellezza. Un caleidoscopio di oltre milleduecento partecipanti a serata nel week-end, maestri di livello assoluto, che non esito a definire il top della scena attuale, ed un’onda incredibile che ha portato le serate dalla notte a sfociare nell’alba per interrompersi al mattino quando il crepuscolo ci aveva già abbandonati. Ho vissuto solo tre giorni di questo evento, ma sono bastati a rinforzare ancor più un mio assunto: un grande festival necessariamente deve avere grandi maestri. Non può essere autoreferenziale e nutrirsi soltanto dell’energia generata dal suo pubblico quantunque questo possa avere un grande slancio vitale. Sono rimasto folgorato dalla performance di Sebastian Arce y Mariana Montes. Hanno riempito con la loro densità di ballo, la loro maturità artistica l’intero luogo che chiamare milonga potrebbe suonare riduttivo. Due temi differenti , una milonga di Varela ed un classico da show, Tanguera, per dimostrare come la coreografia può non essere un arido esercizio stilistico, ma la summa di un lavoro complesso che da percorso interiore diviene la cifra esterna su cui misurare il proprio valore. Una sfida che è verso se stessi, ma soprattutto nei confronti di un pubblico, quello italiano ed internazionale, che abbuffato e saturo da molti eventi ed esibizioni è diventato sempre più esigente. Mission accomplished, potremmo dire con una locuzione di tipo militare. La sicurezza quasi sfrontata di Sebastian affiancata da una teatralità e gestualità mai sopra le righe, si sposa con la classe ed il genio femminile di Mariana, che secondo il mio modesto parere attualmente è la più grande ballerina vivente. Vedere l’esibizione su Youtube non riesce a far rivivere quel viaggio assoluto e vorticoso nella bellezza del movimento, nella velocità di un passo che si incastra come una nota musicale in una sinfonia perfetta. Non c’è sbavatura o azzardo. E’ la sicurezza che deriva dalla conoscenza del tango, sia come ballo che come cultura e musica. E Sebastian e Mariana, oltretutto eccellenti insegnanti, ne potrebbero parlare. Ma Torino è stato anche l’omaggio di Miguel Zotto e della sua giovane compagna Daiana alla tradizione tanguera, di Javier e Andrea alla tradizione del Salon, di Erna e Santiago all’interpretazione personale che rende questo ballo unico. Non posso esprimermi sulle altre tre coppie perché purtroppo venerdì non c’ero. Ho scoperto anche il nuovo, ma già mitico, Club Almagro. Il locale di Stefano e Marcela che rapidamente è assurto a milonga di riferimento nel panorama tanguero nazionale, trasudando già le stimmate del 2 x 4. Un sincero ringraziamento a Marcela e Stefano per proporre ogni anno un evento che riconcilia con la grandezza del tango e con la sua magia. Per creare un’atmosfera di cordiale convivialità e leggerezza che mette tutti di buonumore crea un’onda incredibile. Non ho mai sentito Picherna così in forma. Countdown già partito per l’edizione 2011.
domenica 11 aprile 2010
TORINO TANGO FESTIVAL, DIECI ANNI DI SUCCESSI
DILLINGER E’ MORTO
Può bastare la scena del protagonista che dipinge con colori pop e a pois la pistola on cui a breve ucciderà sua moglie per fare di Dillinger è morto un film unico nella filmografia di Ferreri e nel cinema italiano, che condensa nei silenzi prolungati di Michel Piccoli, e nella sua gestualità rituale vuota ma al contempo ossessiva, un apologo dell’incomunicabilità e della dissoluzione della borghesia al cospetto degli anni’70. L’attore francese interpreta nel film un ingegner di successo che dopo una giornata di lavoro torna nella sua bella casa e scopre una pistola avvolta in un giornale che parla della morte del famoso gangster Dillinger avvenuta a Chicago nel 1934. In contemporanea anche la tv trasmette un film sul tema. Improvvisamente Piccoli inizia a smontare e rimontare la pistola ed a dipingerla. Poi dopo aver fatto l’amore con la domestica e mimato un suicidio davanti allo specchio,entra in camera da letto , copre con un cuscino la moglie sprofondata nel sonno e la uccide sparandole tre colpi. Allo spuntare dell’alba si dirige verso il mare e vede un’imbarcazione scaricare in acqua un cadavere. È il cuoco di bordo di cui ne prenderà subito il posto. Si imbarca verso lidi lontani. Come si può combattere l’alienazione? Contestandola con la lotta politica, o fuggendo verso una realtà primitiva per recuperare la propria dimensione? È evidente in Ferreri che il delitto gratuito e forse fortuito risponde al bisogno primario di scongiurare il pericolo di un’assuefazione alla vita ordinaria. Siamo nei pressi del teatro dell’assurdo, ma voi che soluzione non drastica proponete all’orrore del quotidiano?
IL SELVAGGIO ALCHIMISTA DELLO SGUARDO
Derek Jarman è stato sotto ogni aspetto un profondo shock per il cinema istituzionale britannico, rappresentando l’emblema dell’artista visuale in un repertorio che è, per tradizione, sostanzialmente verbale, accostandosi ad un regista per certi versi simile, Peter Greenaway che ha maledetto il momento “Quando Griffith ha introdotto le tecniche narrative, … perché non ci ha fatto un favore. Tutt’altro. Nel cinema la nozione di letteratura e superflua come quella di verginità per la Madonna.” Derek Jarman si avvicinò tardivamente a questa disciplina nel suo percorso personale di formazione artistica, costellato da numerose tappe segnate da una voracità esplorativa tipica degli artisti d’avanguardia degli anni’60 e ’70, e il suo originario impegno negli home movies, filmini elementari di breve minutaggio girati in super 8 quasi per scherzo e con spirito goliardico, designa non soplo un intimo e domestico approccio al suo lavoro, ma anche la tenace presenza di un significato altro di patria Inghilterra, avulso dalla celebrazione ovvia di un certo ottuso tipo di nazionalismo… Era certamente un prodotto tipico della Bretagna postbellica che si gustò la libertà degli anni’60 e la conseguente distruzione dei secolari tabù sociali, e da questa decade fino alla fine dei propri giorni testimoniò il collasso della sua società, il fallimento del liberalismo e dei valori instabili dell’economia, e naturalmente tutto ciò fu effigiato nei suoi primi film Sebastiane e Jubilee.
FRIGIDAIRE TANGO, DAL VENETO TORNA LA NEW WAVE
La new wave italiana è stata per elezione un movimento toscano, anche se con qualche eccezione geografica. Ha parlato anche veneto con un gruppo che ha pubblicato dopo un ventennio un nuovo ed interessante album: Frigidaire Tango con “L’illusione del volo”. Un progetto che vede la formazione originale avvalersi di grandi collaborazioni, dal guru Federico Fiumani ( Diaframma) a Diego Galeri (Timoria) ed il corregionale Aldo Tagliapietra ( Le Orme). Non c’è operazione nostalgia, che spesso è sinonimo di mollezza di idee e marketing, ma la voglia di rimettersi in gioco, non seguendo le mode, ma riproponendo quell’onesto rock, con echi provenienti direttamente dagli eighties. Ed allora la nostalgia è solo per uno dei periodi più fecondi della musica italiana: Litfiba, Neon, Diaframma, Pankow…Oggi soltanto grotteschi programmi canori in televisione e reality infarciti di pseudo cantanti. Forse siamo davvero scesi in una spirale di declino senza precedenti…
RED CRAYOLA , IL PAROSSISMO DELLA PSICHEDELIA
Psichedelia. Una parola forse in disuso nella contemporaneità, ma che negli anni ’60 ed i primi seventies serviva a racchiudere quella voglia di libertà e di ricerca di mondi differenti che la realtà spesso soffocava. In questo filone, si inserisce uno dei dischi più leggendari di tutta la storia del rock: The parable of arable land dei Red Crayola di Mayo Thompson. Suoni dilatati fino a tangere un parossismo della distensione psichedelica, echi di melodie orientali, tribalismo contaminato da una ricerca elettronica ante litteram. L’album è strutturato come una lunga suite, forma prediletta dai gruppi lisergici dell’epoca ( Grateful Dead…), con brani di grande bellezza inchiodati dall’improvvisazione free che in quegli anni era un atteggiamento di rottura verso l’autorità precostituita, anche in ambito musicale. Il free jazz era il milieu da cui veniva il leader della band che fin dalla prima traccia viene ritmicamente frullato in vibrazioni psichedeliche e metalliche. Un caos primordiale mutaforma che si attorciglia all’ascoltatore. Questo il biglietto per il viaggio verso le porte della percezione, ma dobbiamo piegarci ai flussi sonori…
MC5: IL MURO DEL SUONO ABBATTUTO A DETROIT
Violenti, unici ed elettrici da non poter essere inquadrati in nessun genere. Gli MC5 nel 1969 irrompono nella scena musicale tutta flore e peace & love con “Kick out the jams” un album radicale e di rottura come pochi. Fin dalla title track ed il suo leggendario urlo a squarciagola “Kick out the Jams motherfuckers!!!”, da Detroit parte un assalto sonoro senza uguali. Le chitarre distorte e violente di Wayne Kramer e Fred Smith si sommano alla voce di Tyner per creare un impeto proto punk e metal ante litteram. L’album è un autentico gioiello che in soli otto tracce riscrivono l’impatto della musica rock, che deve essere ribelle e rivoluzionaria. Misconosciuto al grande pubblico, ma seminale e formativo per generazioni di rockers. Ramblin Rose, Rocket reducer, Borderline sono autentici anthem sulla cui struttura si sono costruiti i successi dei trent’anni a venire. E per chiudere questo gioiello, una gemma assoluta: Starship. Autentico viaggio siderale nel solco di Sun Ra fra iperspazi e trip lisergici. Un vortice sonico da cui si viene richiamati dalla voce di Tyner, autentico profeta dell’aldilà. Sono passati oltre quarant’anni da Kick Out the Jams, ma per capire le ragioni rivoluzionarie e trasgressive della musica rock bisogna passare ancora da Detroit.