martedì 20 luglio 2010
Jarman e la luce dilatata di The Last of England
Caravaggio, il vangelo pittorico di Jarman
Un film pieno di poesia, di allusioni e rimandi artistici, affondato nello spirito della filosofia seicentesca, in quel periodo dove si è provveduto alla costruzione dei ruoli sessuali e soggettivi, ma al tempomstesso estremamente contemporaneo. Il filosofo martire con la sua concezione del mondo composto da infiniti atomi viventi, crea un background culturale con l’utilizzo non casuale o fortuito degli oggetti che corrisponde ad una precisa atmosfera pittorica e cromatica. L’attualità del film è segnata da espedienti che sconcertano lo spettatore in un primo momento, come quello di non usare sempre abiti d’epoca, di introdurre oggetti anacronistici ( auto, biciclette, la radiocronaca di un incontro di calcio) con richiami sapientemente ammiccanti, intrecciando un’atmosfera metastorica imbottita di insert spazio – cosmici, non circoscrivendo la scelta degli oggetti e dei costumi alle cose d’epoca, pareggiando lo stesso trattamento riservato dal Merisi ai soggetti biblici ed all’estetica dell’uso della storia e della religione. Jarman ha ricusato l’ambientazione storica per tenersi alla larga da qualsiasi lusinga agiografica, optando per una singolare e anomala rivisitazione degli anni sessanta in cui però accanto ad auto lucide, moto nascoste in fienili e calcolatrici da taschino, sopravvivono anche lussuosi abiti seicenteschi ed ecclesiastici perfettamente abbigliati da cattolicesimo barocco. Lo stesso regista affermò che “ nella realizzazione di questo film ho pensato molto al cinema muto, se c’è un’influenza sensibile in questo film, allora è quella del cinema di Dreyer, un cinema statico che amo moltissimo”