giovedì 16 giugno 2011
Juan Solo, ascesa e caduta di un reietto
Una metafora nera, cruda e senza redenzione della società contemporanea.
“Juan Solo” ci trascina in un Messico violento e polveroso, dove soldati armati e senza nome sparano a vista dopo il coprifuoco. Soprattutto verso un gruppo di ragazzini senza speranza che si arrabattano alla meglio prostituendo il proprio corpo e la propria anima in cambio di un riscatto sociale. Tra questi il protagonista, Juanito, deforme e con una coda di cane, che dopo aver subito l’ennesima angheria, decide di farsi giustizia, e forte di una pistola si pone alla testa di una gangdedita ai più efferati crimini, dallo stupro alla rapina.
Una scalata ai vertici malsani della società, fino a diventare il body guard del primo ministro, ruolo che necessita di un bagno di sangue e di una prova iniziatica: il mssacro di tutta la sua banda. Disegnato secondo un compasso basato sulla violenza e la deformità grottesca, sue cifre stilistiche, Jodorowsky dà vita ad uno dei suoi lavori più riusciti, con un apologo fin troppo palese sull’ambigua relazione fra sesso e potere, e tutte le implicazioni del caso.
Una parabola dannata e paradigmatica di una società dove i reietti da tempo hanno perso ogni speranza di rivalsa sociale, se non a patto di scivolare nell’abisso del male. Anche in questo lavoro è facile subire la fascinazione del fantastico e del grottesco, stati dell’anima ancora prima di essere deviazioni e mutazioni fisiche.
E soprattutto la cruda affermazione di una vita fatta di ascesa e caduta, perché più in alto si sale e maggiore sarà il tonfo nello sfracellare a terra.
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