Con Wittgenstein di Derek Jarman, abbiamo l’altra
faccia del genio filosofico di questo secolo, intransigente ed inflessibile con
sé, prima ancora che con gli altri, l’angosciata e travagliata biografia di un
uomo disambientato, ossessionato da nevrosi e devianze, che impersonò e visse
la propria vita come una controversia continua, inesorabile ed a momenti
autodistruttiva, per la realizzazione di quell’altra persona che
incessanetemente ricorse e che avrebbe voluto essere, soffendo per tutta la sua
esistenza di quella bizzarra irrequietudine conosciuta come protestantesimo, in
cui nulla è casuale o contingente, qualunque cosa è una potenziale avvisaglia
di dannazione o salvezza.
Per Ludwig “ è
essenziale alla ricerca piuttosto il fatto che con essa noi non vogliamo
conoscere nulla di nuovo. Vogliamo comprendere qualcosa che sta già davanti ai
nostri occhi, benché propriamente ci sembra in qualche modo, di non comprendere”.
I cent’anni del cinema convergono fedelmente con il secolo che è stato definito
della svolta linguistica. Rapido elenco di background: dal formalismo russo all’ermeneutica
ed alla fenomenologia, dalle teorie dell’informazione allo strutturalismo,
dalla semiotica al decostruzionismo. Il Novecento è stato tra l’altro l’epoca
della riflessione sul linguaggio, anche artistico. È nell’orizzonte della
rivoluzione linguistica che si muove oggi ogni vicenda, conoscitiva e di vita.
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