giovedì 24 marzo 2016

Tarantino piú manierista che mai





The Hateful Eight é l'ultima sontuosa pellicola di Tarantino. Claustrofobica e filologicamente ineccepibile, come del resto i suoi ultimi lavori, ci porta alla fine della Guerra Civile Americana, in un mondo popolato di antieroi, che mai come in questa occasione rispondono ai dettami dell'homo homini lupus. Tra cacciatori di taglie senza scrupoli, assassini e fuorilegge della peggior specie, donne che non hanno nulla di femminile, teste sfracellate, secchiate di sangue e materia cerebrale é un viaggio glaciale, perché si é costantemente immersi nella neve del Wyoming nell'America più brutale, razzista dove l'unico prisma é quello della violenza. Il film é forse il meno digeribile fra quelli fin qui girati da Quentin, sia per la durata che per la verbosità eccessiva di alcuni momenti, ma i cinofili più accaniti non potranno non innamorarsene scegliendo di volta in volta quale dei protagonisti di questo racconto corale  amare alla follia. E sono sicuro che Samuel Jackson e Kurt Russell rimarranno a lungo impressi nell'immaginario collettivo. Un Quentin manierista che fa di tutto per renderci odiosi e antipatici i suoi attori e che cerca di stremarci con una logorrea di parole che segue una lenta invasione delle immagini. Infatti qui il massacro non si consuma rapidamente, ma con lentezza scava la visione. Indimenticabile il finale senza happy end dove la conclusione di tutto può essere solo la strage, l''annichilimento dell'esistente. Un finale che ricorda, con la dovuta presa di posizione, il grande e immenso Mucchio Selvaggio del maestro Peckinpah.

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