Mathieu Kassovitz sarebbe potuto diventare un regista leggendario, ed invece il suo manierismo lo ha totalmente fregato confinandolo al ruolo di eterna promessa. Ma quando temporalmente questo ruolo supera un arco temporale di quindici anni, allora c'e'un grosso problema.
Oggi peró voglio ricordare lo straordinario "L'odio", una pellicola che ha rappresentato anche il trampolino di lancio per Vincent Cassell. La fotografia di un particolare momento storico della cultura francese ed europea, quella voglia sotterranea di superare i problemi di integrazione razziale e sociale covati per decenni e che poi sono esplosi profeticamente negli anni a seguire. Con il senno di poi si può tranquillamente affermare che grandi passi in avanti non ne sono stati fatti da allora. Anche perché la rabbia che pervade la pellicola é ancora presente nelle nostre città. Quella rabbia che il giovane Kassovitz ha saputo tratteggiare in una maniera unica.
L'attacco del film con gli scontri fra polizia e "borgatari" é da antologia, così come la descrizione delle vite dei tre protagonisti seguiti nell'arco di una giornata. Ventiquattro ore che hanno in sé il seme della condanna, una corsa contro il tempo dove il finale é già scritto. Non riusciamo a trovare la parola redenzione in questo plot narrativo, non c'e', come non ci può essere la speranza in un futuro diverso.
Rap, Funk, soul , la colonna sonora di questo splendido bianco e nero che ci fa vivere dalle viscere il ghetto parigino. Una discesa negli inferi senza risalita, perché come dice uno ei protagonisti''… "Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene. Ma il problema non è la caduta: è l'atterraggio".
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