lunedì 26 marzo 2012
Una grande anthologia new wave
Gloria imperitura alla New Wave Italiana
War Requiem...la versione di Jarman
In War
Requiem, Derek Jarman edifica la narrazione intorno alla vicenda di un poeta
identificabile come Wilfred Owen, le cui poesie erano all’origine del Requiem,
ma le scarse notizie biografiche rendono impossibile determinare e
rappresentare episodi della sua vita, accanto ad altre quattro figure
principali: un vecchio soldato invalido, una infermiera, un soldato nemico ed
il milite ignoto. Ristretta l’azione all’essenziale, Jarman si serve di
immagini d’archivio dei due conflitti mondiali nonché della guerra dell’Afghanistan
e di altri atroci combattimenti; immagini molto violente, primi piani di
soldati lasciati morire, e alcune inedite sequenze recuperate all’Imperial War
Museum. I brnai in Super 8 richiamano alla memoria l’innocenza perduta, i
paesaggi agresti e la quiete domestica, e riscattano la tetra e claustrofobica
atmosfera di un presente girato in 35 mm., con un evidente messaggio
anitimilitarista. Questa storia è un inno all’assurdità della guerra: la
genuina e semplice esistenza trascorsa nel paese d’origine, la giornata da
soldato segnata dalla solita routine, e poi le trincee, il fango, i cannoni, le
bombe e le ferite, il sangue, la morte. Non ci sono eroi nelle poesie di Owen,
nessuna esplosione, niente foga, il film si concentra sui gesti minimi. Quattro
sono i diretti riferimenti alle arti figurative: il corpo di Owen nel Requiem
Aeternam allude al monumento alla memoria realizzato da Charles Jagger e
ubicato in Hyde Park a Londra; il milite ignoto è trasformato nella figura del
Cristo Risorto di Piero della Francesca con una immagine costruita secondo un
punto di vista ribassato, posto all’altezza dell’orlo del sepolcro, abbandonato
però nella parte alta per conservare una perfetta frontalità quasi bizantina al
volto e al busto di Cristo, la cui figura è perno della composizione; la scena
del Recordare è ispirata al quadro di un gruppo di suore che preparano le
fasciature da un libro sui poeti di guerra; mentre per l’Agnus Dei Jarman si
avvale di un dipinto su Gesù di un artista sconosciuto del periodo. Segni che
servono a contestualizzare l’azione e ad
evocare l’iconografia cristiana, anche se il regista non era credente, l’essere
cresciuto in un ambiente cristiano, gli fece sentire che le immagini di questa
religione gli appartenevano, come se fosse stato vittima di un contagio, al
pari di San Sebastiano o di San Giovanni.
Il cinema a Roma
Dopo una vaccata sui misteri di Roma, mi capita tra le mani un libro molto bello edito da Palombi editori di Flaminio Di Biagi dal titolo "Il cinema a Roma. Guida alla storia e ai luoghi del cinema nella capitale". Oltre 200 pagine che si leggono tutte d'un fiato su quello che forse é il set cinematografico a cielo aperto più rappresentato nel mondo della celluloide. Si ripercorre cronologicamente, con un linguaggio asciutto e per nulla retorico, il modo con cui la capitale é stat immortalata nelle pellicole dei grandi maestri internazionali ma anche dei minori nostrani. Il tutto sviscerato in profondità, dai monumenti simbolo, fino alle piazze , vie e borgate più decentrate. Alcuni capitoli di questo excursus temporale sono davvero appassionanti, penso al glorioso dopoguerra ed al Neorealismo dove Roma diventó davvero il valore aggiunto con il suo paesaggio di opere immortali quali Ladri di biciclette, Paisá, Umberto D, Roma città aperta, tanto per citarne alcuni. Per continuare negli anni gloriosi di Cinecittá e del boom della Commedia all'Italiana, un momento irripetibile del cinema nostrano che visse una congiunzione astrale incredibile. Le idee sembravano straripare, così come nel cinema di genere degli anni'70. Per un cinefilo poi la descrizione delle location per aree tematiche é davvero utilissima, e davvero scorrono in sequenza tanti film che hanno segnato la nostra memoria, riemergendo all'improvviso grazie ad un dettaglio magari sottovalutato.Un volume che potrebbe essere adottato dalle guide turistiche per percorsi alternativi interdisciplinari alla scoperta dell'Urbe. Una geografia del cinema che diventa geografia della città e forse anche dell'anima.
ALTRO CHE MISTERI DI ROMA… IL MISTERO É ARRIVARE ALLA FINE DEL LIBRO
ALTRO CHE MISTERI DI ROMA… IL MISTERO É ARRIVARE ALLA FINE DEL LIBRO
Come rendere un viaggio nella Capitale una banale gita per ragazzetti appassionati di giochi di ruolo. Mi sono imbattuto per caso in libreria in questo volume dal titolo quanto mai banale "Misteri di Roma" di Alberto Toso Fei ed ho provato ad addentrarmi nella sua lettura. Di una noia e di una superficialità uniche. Tutto sembra studiato a tavolino per rendere appassionante un viaggio che già di per sé é carico di fascino, ma si scade nei luoghi comuni più insulsi. Dopo una decina di pagine la noia mi attorciglia le budella, ed il girovagare a metá tra reale e immaginifico ha lo stesso effetto di un analgesico preso a stomaco vuoto per chi soffre di gastrite. E basta con questi inutili tagli noir, per creare un brivido finto come disneyland in qualche pensionata pronta a prendere la tintarella ad agosto. Irritazione. E se fossi romano, forse irritazione al cubo. Come dire, scrivere un libro ai tempi di Wikipedia,… non se ne avvertiva assolutamente il bisogno. Al contrario, per scoprire angoli nascosti della Capitale, altri sono i volumi indicati, come due uscite che intrecciano set cinematografici e luoghi della Capitale. A breve la recensione di uno di questi libri.
lunedì 19 marzo 2012
L'isola dei morti, incantevole paesaggio di Bocklin
L'Isola dei morti di Bocklin è un paesaggio bloccato in una inquietante immobilità, al di fuori del tempo e dello spazio reali. Il marrone neutrale delle rocce e il grigio plumbeo del cielo e del mare esaltano la bianca luminosità della figura in piedi nella barca. L’ artista tedesco prendeva le mosse dal realismo della vita, di cui voleva cogliere il dramma ancora secondo presupposti romantici, per rinvenire in quel dramma un contenuto trascendente, una soluzione misteriosa, una catarsi oltre quella realtà stessa che così sapientemente riproduceva. Singolare è il suo itinerario artistico, contrassegnato da un simbolismo che nulla deve al clima morboso e inquieto del simbolismo francese, ma nasce dalla commistione di mito e realtà, passato e presente, nell’atmosfera ambigua di un simbolismo allusivo,che richiama la wagneriana sintesi delle arti. La seduzione straordinaria che la sua opera pittorica sprigiona è dovuta alla amibiguità del contrasto tra figure reali e ambientazioni classiche, tra concretezza del reale e atemporalità del mito. Secondo Bocklin ogni quadro deve raccontare qualcosa, far pensare lo spettatore come se si trattasse dina espressione poetica e lasciare l’impressione di un brano musicale. L’artista svizzero dipingeva i suoi quadri con una costanza ancora realistica e una precisione accademica senza alcuna indeterminatezza di forme. Bocklin esplora sogni e misteri, miti e leggende, illustra situazioni cariche di pathos e tensione, popola le sue tele di creature fantastiche, e il mistero si insinua, riuscendo a suggestionare, affidandosi al contrasto surreale fra un vero frammentario e terrestre ed un’atmosfera magica e ignota che lo pervade . Un senso di angoscia profonda, di panico e il sovrastare dell’incognito e dell’inafferabile ai sensi, sottende i suoi paesaggi studiati pazientemente sul vero,frammento per frammento e ricomposti in un’invenzione che proveniva dall’interno che si collegava all’inconscio.
Il cinema di Andy Warhol, miti di massa e riproducibilitá tecnica
Andy Warhol, la cui influenza sarà immensa per tutta l'arte del dopoguerra, inizia una serie di una ventina di film muti tra il 1963 ed il 1964, poi girerà in totale una settantina di lavori, il cui successo é dovuto al suo atteggiamento freddo e distaccato rispetto ai soggetti che filma, di cui si limita a riprodurre azioni e confessioni, senza esprimere alcun giudizio. Promuove un'arte di superficie, priva di sentimenti, un universo di oggetti, di automi, rivelando una continuità ogiva tra le personali serigrafie e i suoi primi film, sviluppando una estetica dell'ascetismo che lo classifica tra i padri del cosiddetto cinema strutturale, introducendo una linea di demarcazione netta nella corrente sperimentale dell'epoca, abbandonando ogni riferimento di lirismo. La critica del vedere come critica del cinema stesso si identifica con la critica dell'universo visuale prodotto dalla società capitalistica totalmente sviluppata, vale a dire con la valutazione della forma in cui i rapporti sociali appaiono e si presentano, dell'immediata visualitá in cui sembra esaurirsi tutto il reale. Il cinema resta sempre un proceso senz aun soggetto che produce il mondo riproducendone senza mediazioni la forma iconica, e la tecnica é usata solo in funzione di questa forma riproduttiva. Tra i suoi film da ricordare le creazioni dell'ultimo periodo come The Chelsea Girls e Bike Boy che si presentano sotto forma di documentari, di saggi sociologici a metá strada tra realtà e fantasia su una certa fauna artistica. I suoi primi film, precursori del cinema strutturale, costituivano in una certa misura delle risposte ai problemi dell'immaginazione creativa e delle reazioni del pubblico, sollevti dal movimento postbellico dei film d'avanguardia, dei trance - film fino ai film mitopoietici. In questi lunghissimi film Warhol collocava la cinepresa in una posizione fissa e la lunghezza stessa della singola immagine avrebbe spinto lo spettatore a una nuova coscienza dell'esperienza percettiva. Il cinema di Warhol si identifica con la realtà, é una operazione culturale che sostituisce lo schermo cinematografico al mondo, producendo criticamente la sostanza dell'universo visivo in cui appare la totalità dei rapporti sociali. Identificandosi con l'occhio immobile della camera, l'artista pare rinunciare del tutto al proprio intervento, annullare ogni mediazione fra l'oggetto e la sua riproduzione, riconoscere che l'arte si é completamente realizzata nella fantasmagoria della merce, che la sensibilità si é interamente oggettivata, é divenuta una qualità delle cose, passando dal produttore al prodotto. Warhol analizza le forme del cinema industriale come un paesaggio mediatico che ha saturato la nostra visione delle cose. Il suo cinema ha anche indagato il valore universale dei miti di massa, il valore del glamour, quella qualità indotta dai media che rende un individuo o un soggetto seducente e distinguibile dagli altri, avendo posto il problema del nuovo protagonismo dell'individuo massa contemporaneo
domenica 18 marzo 2012
Viaggio nell'aria di Sorrenti
Sonatine...ieratico Kitano
Adoro Beat Takeshi Kitano ed il particolare il suo Sonatine. La storia di un uomo che va inevitabilmente incontro ad un destino fatale, senza paura ma con una stoica rassegnazione, è affascinante quanto basta per far emergere la poetica di questo autore. Filo conduttore di questa amara e disincantata parabola sull’ impossibilità di cambiare la propria esistenza, se macchiata dall’onta del crimine e dalle stimmate della violenza, è lo status dello Yakuza. Più che un uomo un mondo con i suoi codici e le sue ineluttabili regole. Esortato dal suo capo a compiere un’ultima missione sull’isola di Okinawa per appendere le pellicole al chiodo, si rende con il passare del tempo di essere scivolato in una trappola senza scampo. Vede man mano morire gli uomini della sua batteria e si innamora di una donna vittima di uno stupro. Sopravvissuto ad un agguato si rifugia con i suoi uomini in una casa su una spiaggia attendendo con la stoicità del samurai il compiersi del fato. Un film di una bellezza ammaliante nella purezza e nel rigore neoclassico delle immagine con alcuni topoi meravigliosamente svelati, fra cui il mare e l’acqua. Un male dove la violenza è quasi sublimata dall’ascetismo del protagonista. Tra comicità e tragedia, Kitano con un tocco magistrale ci rivela che la vita non è altro che lo scorrere delle lancette nell’ attesa della morte. E per grazia di Dio non ci sono fronzoli e deplorevoli tentativi di pietas.
Markopoulos, il simbolista della settima Musa
Gregory Markopoulos di chiara origine greca è noto per la trilogia Du sang, de la voluptè et de la mort il cui titolo ispirato a Maurice Barres è emblematico di un cinema esteta, vicino allo spirito simbolista e decadente. Markopoulos si distingue fra i registi underground per il peculiare elitarismo ed il gusto della perfezione tecnica per i suoi film ritratto con il loro montaggio ultrarapido che anticipano il cinema strutturale degli anni settanta.
lunedì 12 marzo 2012
I 99 luoghi segreti di Roma
Il fascino senza eguali di Roma. Ogni volta che arrivo nella Cittá Eterna mi pervade un senso di indicibile scoramento. Moriró senza aver visto tutto quello che avrei desiderato conoscere della Caput Mundi.
Ad accrescere questa sensazione un libro che ho acquistato quasi con indifferenza qualche mese fa , Le chiavi per aprire 99 luoghi segreti di Roma"di Costantino D'orazio. Una vera miniera di tesori nascosti e sconosciuti al grande pubblico, tra cui mi infilo anche io, o forse anche a qualche romano. Sono certo che anche gli stessi cittadini dell'Urbe passano con indifferenza ogni giorno davanti a meraviglie che meriterebbero un pomeriggio intero. Questo libercolo é una vera rivelazione. L'ho divorato letteralmente in poco tempo ed ha succitato in me grande curiosità. Diviso con arguzia per capitoli tematici, palazzi e ville, conventi e chiese, sotterranei e necropoli, siti in restauro, é un vademecum per lanciarsi alla scoperta di una parte dello straordinario patrimonio storico artistico capitolino ingiustamente sepolto da siti ben più famosi. Di facile lettura le 99 schede, che in poche battute riescono ad accendere il desiderio di visite che talvolta sono di difficile accesso. ma come dicevano i latini "Per aspera ad astra".
Scopro di essere stato uno dei fortunati l'anno scorso ad aver visitato Palazzo Farnese, luogo dove é nato il barocco, ma che mi mancano ancora il soffitto misterioso del Pinturicchio di Palazzo dei penitenzieri, Palazzo Falconieri con il lascito del Borromini. E continuando la Casa dei Cavalieri di Rodi, o il Villino Gamberini.
Da qualche mese questo libretto non manca mai nei miei viaggi a Roma.
Chroma, confessioni a colori ....
Al di lá dell'omaggio audio visivo di Blue,, il particolare rapporto affrontato da Jarman con colori, si é in un certo senso ben esplicato nel suo ultimo testo, Chroma che non é chiaramente un libro di cinema, ma l'estrema testimonianza artistica di un uomo che ha giocato con forme e colori per tutta una vita e che poco prima di morire ha lasciato un trattato su quei colori che, ormai cieco e roso dalla malattia oltre che dalla dolorosissima terapia, non era più in grado di vedere e distinguere. i ricordi di infanzia, le formule chimiche ed alchemiche per la creazione dei pigmenti, le citazioni di vari filosofi, versi di poeti, riferimenti al mondo dell'arte ed ai suoi protagonisti, la malattia e la morte si sovrappongono ai colori, cui é dedicato ogni soggolo capitolo, con un omaggio iniziale ad Arlecchino "figlio del caos", lasciandoci in ereditá quel mondo cromatico da lui tanto amato e che non desiderava vedere perso.
domenica 11 marzo 2012
La seduzione del colore nel cinema, praticamente infinita
Molti autori si sono cimentati nel secolo scorso nel rapporto tra cinema e pittura, sfruttando le qualità pittoriche della pellicola in bianco e nero per animare in tableaux vivants famose opere d'arte negli anni'70, durante lo sviluppo economico e le grandi battaglie per i diritti civili, la riflessione sul reale e la notificazione della fallacia delle immagini colorate e patinate, generate dalla società consumistica ed edonistica, fu un segnale che suggestionó anche il cinema americano, marchiato da una rappresentazione iperrealistica e nostalgica. In questi stessi anni, alcuni cineasti, divergenti fra di loro iniziarono decisamente ad interessarsi alla sperimentazione cromatica, spinti dalle ricerche condotte in ambito pittorico. Tra i più celebri per il loo impegno in questo dominio, basti pensare a Michelangelo Antonioni ( Deserto rosso, Il mistero di Oberwald), Jean Luc Godard ( Il disprezzo), Eric Rohmer ( L'amico della mia amica), che soddisfecero una funzione da apripista per una nuova utilizzazione del fattore cromatico, modificando in ultima analisi la loro filosofia del vedere, disgiungendosi in maniera netta sia da un certo tipo di cinema commerciale, che da un particolare cinema indipendente ed underground, e vincolati alla pittura in un certo mdo, influenzarono la generazione successiva dei Greenaway, Kieslowski… In particolare Antonioni personifica l'anello di congiunzione fra il colore cinematografico ed il video colore; effettivamente egli desiderava ricreare anche con l'ausilio del cromatismo, uno spaizo tempo emancipato dalla riproduzione oggettiva della realtà, così per esempio in Deserto rosso, per riprodurre il mndo psicologico della protagonista, Antonioni dipinse testualmente muri, alberi, cose. Un colore protagonista, che mutava incessantemente, spettacolo nello spettacolo, racconto nel racconto, creato da un regista che dimostrava di conoscerne tutte le potenzialità espressive e simboliche. La cinepresa, per lo più in inquadrature considerate come soggettive, ottiene effetti di superficie o di espressività materica e cromatica decontestualizzando dettagli dall'insieme dell'esperienza visiva dei personaggi e sospendendoli come momenti assoluti. Nel suo cinema i colori sono segni della potenza creativa del mondo, che il corpo affaticato, consumato, nevrotico non riesce a cogliere. E'allora che gli spazi si fanno vuoti: i colori, così come le ombre sono atti a suscitare luoghi qualsiasi, superfici sconnesse o svuotate.
No New York, nasce nella Grande Mela la No Wave
Tra le notizie più positive in campo musicale negli ultimi anni, la ristampa di un capolavoro dello sperimentalismo anni'70: La leggendaria compilation No New York.
Un tuffo nella creatività "marcia' e "irrequieta" della grande mela di warholiana memoria. Sedici tracce per quattro seminali band del periodo: i Contortions di James Chance ed il suo sax maledetto, la regina del male Lydia Lunch con i Teenage Jesus & the Jerks, i Dreaming Mars ed il genio assoluto di Arto Lindsay con i DNA. Un mix travolgente di free jazz, dissonanze sonore, funk sporco e garage rock alla Stooges.
Una compilation che ha rappresentato per molti artisti post punk una bibbia cui attingere per sonorità ed attitudini mentali e che darà luogo al fenomeno no ave, ristretto musicalmente ma di grandissima incidenza. Mi verrebbe da dire, appoggiando la puntina, ma ora bisogna dire premendo play, si é scaraventati in un inferno sonoro che apparentemente sembra cacofonica in realtà rumorismo elevato ad arte. Il disagio esistenziale della Lunch merita davvero un approfondimento nella sua discografia, mentre gli altri tre gruppi consegnano in questa compilation le loro performance migliori.
No New York un vero inno all'anarchia, firmato obviously Brian Eno.
L'immenso fascino della violenza: "IL GRANDE RACKET
Autentico capolavoro del genere e punto di non ritorno di tutto il poliziesco all'italiana. Enzo G.Castellari con "Il Grande Racket" firma una pellicola che sublima nella violenza gratuita tutte le tensioni di un'epoca, dal cittadino che vuole e non riesce a ribellarsi, alle forze dell'ordine impotenti contro l'escalation del crimine, passando per la ribellione politicizzata giovanile.
In questo film il regista amato alla follia da Quentin Tarantino coniuga il cinema d'azione a stelle strisce con un talento tutto nostrano esemplificando il tema della vendetta. Uno dei plot narrativi che al cinema tengono avvinghiati di più alla poltrona lo spettatore. Ralenti nelle sparatorie e nel favoloso incipit, monologhi da villani bondiani, invincibilità da supereroe, tutto rende grandioso il film , a partire dal protagonista, un monumentale ed atletico Fabio Testi, che non si ripeterà mai più a questi livelli. Ma tutto il cast é da paura: Vincent Gardenia, Orso Maria Guerrini, Sal Borgese, Glauco Onorato… Per non parlare della soundtrack, un violentissimo rock con sfumature hard prog dei fratelli De Angelis.
Le mazze da baseball che irrompono nella scena iniziale ci fanno capire che per tutto il film saremo costretti ad assistere a violenze di ogni genere, di tipo sessuale con due stupri da antologia da far impallidire il cinema rape americano, a rivolte studentesche in stile Arancia meccanica. Le due donne uccise, la moglie del campione olimpionico di tiro al piattello e l'illibata figlia dell'oste , scateneranno una violenza a tratti peggiore di quella portata. E'il crimine l'unico driver dell'esistenza, ed al crimine si risponde con il crimine. Una mossa spiazzante per i criminali, che si trovano a fronteggiare una gragnola di colpi scaricatagli addosso da uno squadrone di giustizieri capitanati dall'ex maresciallo Palmieri ( Testi). Quest'ultimo, deluso da una legge che sembra fatta apposta per difendere i delinquenti, arruola una gang di vittime del racket destinata a diventare in breve un ensemble di carnefici senza alcuna morale se non quella della vendetta. Inevitabile un finale grand guignolesco dove si andrá stoicamente incontro alla morte come ne "Il mucchio selvaggio", una carneficina da cui non si salverà nessuno.
Ho inseguito questo film per anni, poi scovatolo nei meandri del web, me lo sono sparato due volte di seguito. Ho ancora negli occhi l'incredibile scena di Testi che rotola per il dirupo dentro l'auto girata con una abilitá estrema per l'epoca e la scena al ralenti della sparatoria finale. Non ho che una sola parola: capolavoro! Rincoglioniti dai Moretti e dai Montalbano contemporanei, dalle commediole di Verdone e dalle troiate di Moccia e delle minchiate pseudoimpegnate dal cinema nostrano, volgo lo sguardo indietro ad un periodo glorioso del nostro cinema che ha dato del filo ad torcere anche al poliziesco americano. Con Il grande racket abbiamo un film degno di sedere al fianco dei capolavori di Siegel e di Hill.
Immenso.
Sopratutto nel disegnare dei personaggi compiuti a 360. E'questa l'estremizzazione della violenza. Ogni singola vita racchiude un dramma infernale, una vita segnata dal male e della sofferenza che si può concludere solo nella violenza. Quanto di Castellari c'é nella realtà contemporanea, forse troppo!