Quando l’Oriente
incontra l’Occidente, musicalmente parlando. Un disco sublime che affianca due
giganti quali Jan Garbarek e Ustad Fateh Ali Khan in un caleidoscopio sonoro
all’insegna della sacralità perduta. Nella produzione musicale contemporanea
ritengo questo album ECM del 1992 il tenativo più compiuto di coniiugare i due
mondi anche attraverso l’uso di strumenti diverissimi tra loro, in senso
squisitamente etnico, con l’utilizzo della voce quale elemento insieme al sax a
guidare la polifonia. Non stiamo parlando di un insulso disco commerciale dal
sapore plastificato new age, ma di un lavoro difficile, che richiede
meditazione ed un ascolto profondo che non può prestarsi alla distrazione dell’ambient
music o alla liquidità degli mp3 a bassa resa qualitativa. Forse la musica può
risultare, alla luce anche delle vicende che sono seguite post pubblicazione, l’unico
vero antidoto alla lotta feroce che sta inseguinando le due regioni geografiche
del mondo. Non posso che lasciar fluire i miei ricordi e viaggiare la mia mente
libera nel dialogo fra Jan e Ustad. Questo disco è davvero una autostrada per
la liberazione dai pregiudizi culturali.
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