Oltre 20 anni di passione tanguera. Una enormità se misurata con il metro temporale del 2x4. Stefano Dionisi conosciuto ai più come il deus ex machina del Festival Internazionale di Tango Argentino di Napoli é una personalità vulcanica, profondamente innamorato del tango. Come mi racconta, sono bastati dei timidi passi nel 1993 al Tango Bar di Roma per sconvolgergli l'esistenza e portarlo a cambiare lavoro e tornare a Napoli, città in cui é cresciuto. L'attenzione al rapporto con le persone, a vedere il tango come un universo dalle molteplici dimensioni, dove la danza si affianca al risvolto culturale e sociale hanno condotto Stefano a creare il TanoTangoFestival, una delle kermesse storiche nel panorama internazionale. Apriamo dunque il 2013 scoprendo i segreti di un grande organizzatore di eventi tangheri: dalla magica ed unica Napoli, Stefano Dionisi
D: Il grande pubblico ti riconosce soprattutto come l'organizzatore del Festival Internazionale di Tango Argentino di Napoli. Quale il segreto del successo di questo evento?
R:il segreto sta forse proprio nel non considerarsi solo o soprattutto l’organizzatore del “TanoTango Festival”. Il segreto, se di segreto si può parlare, sta nell’essere sensibile alle esigenze del pubblico e di tutti gli attori che contribuiscono alla realizzazione di un festival; poi bisogna amare il tango; e, nel mio caso, amare il luogo dove il festival si va a realizzare perché credo che la gente che viaggia per andare a un festival di tango viaggi anche per conoscere il luogo dove si svolge il festival. In particolare:
- E’ necessaria una grande sensibilità. Questo significa che al centro di ogni attività ci deve essere l’amore per gli altri, il rispetto delle loro idee e delle loro esigenze. Sentire come fluisce l’energia del festival e apportare le necessarie modifiche, anche in corso d’opera, perche' questo fluire sia il più circolare possibile. Bisogna tenere in grande considerazione le problematicità evidenziate da chi a vario titolo collabora alla riuscita del festival, dal pubblico ai ballerini, ai musicisti, ai collaboratori etc., cercando sempre di non rimanere troppo affezionati al “format” che era stato progettato.
- L’amore per il tango è poi la componente essenziale che ti fa scegliere di organizzare un festival invece che una maratona. Questo significa fare tutto quello che si può per far conoscere e amare il tango nella sua interezza. Cercare i migliori ballerini, le migliori orchestre, i migliori maestri e “musicalizador”, ma soprattutto cercare di far capire come il tango da esibizione non sia poi una cosa così diversa dal tango ballato nelle milonghe, nel senso che uno è uno sviluppo dell’altro, un’evoluzione di quel tango ballato che alla base ha la relazione di coppia, la guida e l’ascolto. Far capire come un tango da esibizione sia una cosa ben diversa da una coreografia di danza classica basata su un tango: quest’ultima ha al centro la “sin-cronia” (“sun-cronos” = insieme al tempo) cioè lo stare insieme perché entrambi stanno insieme al “cronos” musicale; questo tipo di coreografia non ha al centro la guida e l’ascolto di coppia, cosa che fa di una danza un “tango”, da sala o da esibizione che sia. Dare quindi a ciascun aspetto, l’esibizione, la musica, la danza, l’importanza che merita inserendo ciascuno con lo stesso rilievo: non credo che un festival si possa fare come se fosse una grande milonga, senza musica dal vivo e senza esibizione. Una cosa è fare una milonga, o una riunione tra amici che ballano, altra cosa è fare un festival. Io credo che ci sia una grande confusione sulle parole quando si denominano “festival” delle milonghe che non ne hanno le caratteristiche, nella speranza di poter richiamare un pubblico maggiore. Per come la vedo io, in un festival non possono mancare:
- la musica dal vivo, che ci dà un’immagine reale di dove si sta andando con la creatività musicale, quali frontiere della musica deve ancora esplorare questa arte che è il tango, e come cambia il modo di suonare la musica da ballare perché è evidente che far ballare delle persone degli anni ‘20 è senza dubbio diverso dal far ballare delle coppie degli anni ’10 (ma del 2000) perché oggi è molto probabile che le donne abbiano una immagine di sé diversa, più autonoma e libera e che cerchino, anche nel tango, dei propri spazi creativi; inoltre ci costringe a ballare con una maggiore attenzione alla musica perché questa può variare e sorprenderci, mentre un brano registrato, una volta ascoltato, si ripete sempre uguale e, per quanto un dj si sforzi di cercare interpretazioni poco conosciute, è sempre prevedibile. Pertanto anche la nostra danza cambia dovendo necessariamente confrontarsi con persone vive che stanno lì a suonare per noi. Amare il tango significa anche far conoscere gli sforzi di chi cerca di tenerlo vivo, di chi ricerca nuove sonorità per tenerlo al passo con la cultura di oggi;
- le esibizioni; la danza si evolve, si cercano nuovi movimenti, nuove interpretazioni di emozioni e nuove forme del guidare e seguire che a volte lasciano stupefatti. Le esibizioni ai festival danno l’idea che dietro alla rinascita del tango c’è un grande lavoro e una grande dedizione. A volte si balla per la coppia, per dirsi cose, qualsiasi cosa, ma dentro la coppia; altre volte l’energia è tale che le cose da dirsi non rimangono più dentro la coppia ma diventano letteratura. Ballare in una milonga è comunicare in due, danzare in un’esibizione è scrivere una pagina di un libro. E a me piace leggere anche se adoro vivere;
- il pubblico danzante; perché il festival è un incontro tra amanti; tra persone che amano ballare e che sono curiose di capire e conoscere come si balla in tutto il mondo, che vogliono ballare con tutti per capire che in fondo abbiamo tutti le stesse emozioni, i giapponesi si innamorano e soffrono come i russi, che scherzano e sono divertenti come gli inglesi, che si nascondono e sono timidi come i neozelandesi, che sono aperti e pieni di energia come gli argentini, che si innamorano e soffrono come i giapponesi. Il pubblico danzante è esso stesso parte dello spettacolo, parte dell’evento “festival”. Il pubblico danzante va curato e coccolato, bisogna offrirgli prima di tutto ottimi “musicalizador”, in grado di far fluire l’energia della pista in modo coerente, come un’onda dalla quale lasciarsi prendere, piste molto ben ballabili per non frustrare la creatività dei ballerini con dei pavimenti pesanti e a volte pericolosi, un’atmosfera accogliente che li faccia sentire “attori” e non “spettatori”.
- il pubblico non danzante che è potenzialmente il prossimo pubblico danzante; è la massa delle persone che hanno strane idee sul tango, tutte quelle idee che la tv e i racconti dei loro genitori gli hanno inculcato e che si avvicinano attratti dalla musica, dalle esibizioni, ma che poi rimangono coinvolti dall’atmosfera e dal significato vero del tango, da quello strano modo di stare insieme che è basato sull’ascolto reciproco. Bisogna ben curare questo pubblico, perché il successo del festival è anche quello che succede dopo: quanti sono i nuovi iscritti ai corsi di tango dopo un festival…. Quanta gente dice che si è avvicinata al tango perché ha partecipato a un festival, magari portata da un amico ballerino? Questo è un parametro importante di valutazione del successo di un festival. Se a Napoli, da pochi appassionati che eravamo, siamo diventati una realtà così forte, sono convinto che molto è dovuto al “TanoTango” festival e alla grande pubblicità (radio, tv, manifesti giornali) che abbiamo fatto non solo nei circuiti di tango ma soprattutto nella città per il pubblico non-tanghero; la ricaduta di tale pubblicità è stata a vantaggio di tutto il tango napoletano che si è così potuto avvalere di nuove leve, di nuovi appassionati. Ben diverso dal discorso di chi fa milonghe solo per i bravi ballerini dove gli altri sono esclusi. A mio avviso non mostrano alcun amore verso quest’arte. Interesse sì, ma non amore.
- In ultimo, prima di essere innamorati del tango, bisogna essere innamorati della città dove questo festival si va a realizzare. Bisogna attrarre i ballerini da tutto il mondo non solo per il tango, altrimenti non ci sarebbero alternative a Buenos Aires e ai suoi festival (prima c’era il bellissimo World tango festival, adesso purtroppo soppiantato dal campionato mondiale… ma qui apriremmo un altro capitolo; il CITA che ancora continua le sue attività etc…). La gente che viaggia per il tango, oltre ad amare il tango, ama viaggiare e allora bisogna far conoscere la bellezza dei luoghi che si visitano attraverso il tango. Nel mio caso io sono un innamorato di Napoli. Questa Napoli così maltrattata e così poco conosciuta… Ho vissuto 19 anni a Roma, mica poi tanto lontano… Ho capito che la gente comune di Roma (e pertanto posso immaginare quelli che vivono più lontano) non sa molto di Napoli, tanti preconcetti, informazioni sbagliate, luoghi comuni. Così come molti napoletani non sanno niente delle altre città… solo quello che viene raccontato. Delle persone che ho conosciuto, pochissimi avevano visto Napoli se non di passaggio…. Ricordo le discussioni che facevo per affermare che non è vero che la pizza napoletana è “alta”, che la gente è sempre allegra etc... Quanto mi dava fastidio chi diceva “io amo i napoletani perché sono….”! Qualsiasi aggettivo mi mandava in bestia… Poi sono cambiato. Non mi adiro più… però vorrei, mi piacerebbe, che la gente potesse conoscere un poco questa città così piena di contraddizioni da sembrare di avere dentro di sé … il tutto. Ti ricordi Sabino quando ballavamo in Galleria Umberto I nel 1997? Io scrivevo che ballare in Galleria (cioè in un qualsiasi luogo bello) è una gioia dell’anima… D’altra parte perché, se vogliamo dire “ti amo” a qualcuno… lo portiamo in un posto bello e solo quando la sua e la nostra anima si sono sciolte di fronte alla bellezza, troviamo la forma e la forza di aprirci, di offrire quello che abbiamo dentro di noi all’altro?... Così è per me danzare: offrire all’altro una parte di me. Pertanto trovare delle “location” che siano “mozzafiato“ è sempre stato l’obiettivo prioritario del “TanoTango festival” e gran parte dei nostri sforzi organizzativi sono stati causati dalla difficoltà di rendere disponibili, accessibili e ballabili tali posti. Perché ottenevamo così due scopi, da una parte mostrare Napoli, dall’altra comunicare al meglio la nostra danza che è la nostra anima.
Ecco. Il segreto del successo del “TanoTango festival”, per ciò che dipende dall’organizzatore, attiene all’essere una persona sensibile, che ama il tango e la sua città e che, solo come conseguenza, organizza un “festival” “internazionale” di “tango” a “Napoli”.
D: Nonostante tutte queste edizioni la tua passione rimane intatta?
R: Se la domanda si riferisce all’organizzazione, certamente la passione è addirittura aumentata. Le difficoltà sono diminuite all’aumentare dell’esperienza e delle conoscenze dei meccanismi, mentre è aumentata la soddisfazione del nostro pubblico. D’altra parte è aumentato il bisogno di mostrare una Napoli diversa sia da quella delle immagini della camorra e dell’immondizia, sia da quelle delle immagini patinate del sole e del mandolino. Napoli è una città vera da amare e oggi, pur tra mille difficoltà, sta cercando di darsi un’immagine più moderna e più vicina alle persone che io conosco e che frequento. Tante sono le novità e tanta la voglia di mostrarle a tutti…
Ma se parli del tango… beh devo dire la verità? Molte cose sono cambiate da quando ho incominciato. Le molle che mi hanno spinto a incominciare si stanno sfilacciando, e il tango, come i jeans stracciati, sta diventando moda e sta perdendo la sua caratteristica innovatrice tutto a vantaggio del mercato e del consumo.
D: Il "mestiere dell'organizzatore" spesso risulta uno dei meno gloriosi nel mondo del tango? Come ci si costruisce un potente parafulmine per respingere critiche del pubblico, capricci degli artisti, problematiche di carattere logistico-pratico?
R: Non lo so. Io cerco di essere sempre me stesso. Pertanto litigo, discuto, mi arrabbio. Cerco però sempre di capire (magari dopo le arrabbiature) che le critiche non vanno respinte, ma ascoltate ed è necessario cercare di fornire una soluzione ai problemi. Certo esistono persone “fuori”. Quando c’è tanta gente è anche possibile che ci siano delle persone “fuori”. In quel caso è necessario armarsi di pazienza; più spesso però bisogna farsi carico di problemi che ti vengono mostrati e che tu avevi analizzato superficialmente e a tali problemi bisogna dare una risposta. A volte, quando non è possibile trovare una soluzione, si cerca di spiegarlo sapendo che però i problemi sono reali. Per quanto riguarda gli artisti… si fa una selezione naturale… I contratti possono prevedere di tutto, ma quelli che tu chiami capricci a volte sono imprevedibili e allora si ingoia amaro… se l’artista non è contento si riflette sull’umore del festival e tutta l’energia scema. Questo è il motivo per cui tanti sono i festival che presentano un gruppo compatto di artisti intorno ai quali girano le novità. Gli artisti di riferimento, come per noi Alejandra Mantiñan, ti danno una mano a tenere il gruppo all’interno di atteggiamenti quanto meno accettabili. Le problematiche logistico pratiche si affrontano con l’esperienza e con la conoscenza dei meccanismi. Noi per esempio siamo partiti con un festival itinerante in tutta la provincia che durava 9 giorni. Un’ammazzata! Però… che bello! Abbiamo ridotto i giorni portandoli a 5, ci fermiamo al comune di Napoli in questo modo semplificando il tutto; però cambiamo ogni serata “location” organizzando servizi navetta per quelle più distanti (ma sempre in città) e così salvaguardiamo lo spirito di un festival non stanziale, cioè di un festival che sia in grado di mostrare le varie facce della città da quella turistica a quella post industriale.
D: Quali sono secondo te gli elementi che rendono grande un evento? Artisti di fama internazionale, splendide location, pubblico internazionale, livello alto di Tangueros...?
R: Penso di aver già risposto a questa domanda. Per quanto riguarda il livello alto di Tangueros… Credo che siano un fattore di successo, anche se invito tutti quelli con un alto livello di tecnica a prendersi un poco meno sul serio, in fondo stiamo solo ballando il tango…
D: Il calendario degli eventi tangueri risulta sempre più fitto. Come si riesce organizzare un evento di grande portata nonostante l'offerta enorme di milonghe, festival, maratone?
R: Infatti è sempre più difficile anche se aumenta il pubblico. Come dicevo prima, si chiamano festival delle milonghe senza musica dal vivo, senza ballerini e senza pubblicità, cioè senza costi e questo rende molto più difficile sostenere la concorrenza per chi invece questi costi vuole averli perché fanno la differenza in qualità. Come si riesce? Non lo so. Io vado avanti con le mie idee e fino a che reggo ci sarà il “TanoTango” festival. Quando non ce la farò più… vuol dire che il pubblico voleva altro.
D:Come giudichi il rapporto con gli artisti con cui lavori (ballerini, dj)? Preferisci che lavorino in esclusiva con te nell'area limitrofa alle tue locations?
R: Il rapporto è ottimo e ne è la prova il fatto che tutti quelli che ci sono stati vogliono ritornare, qualcuno si è addirittura offeso per non essere stato richiamato… Per quanto riguarda l’esclusiva… Qui si tratta di mercato: se chi lavora nelle aree limitrofe è disposto a dividere i costi … allora si può fare. Ma non mi è stato mai chiesto in questa forma.
D:Quale è l'evento o l'edizione a cui sei più legato? Quali gli artisti con cui hai un rapporto più stretto?
R: Come sempre la prima edizione, così avventurosa, è quella che più mi rimane nella memoria... ma ciascuna delle successive ha un sapore “speciale”… Gli artisti? Beh senza dubbio la nostra madrina “Alejandra Mantiñan”, Lorena Ermocida e la mia nuova sorellina “Lorena Pastor”.
D: Cosa ti da' più soddisfazione nell'organizzazione di un evento?
R: Senza dubbio la gioia negli occhi di chi viene a ballare.
D:Cosa ti fa più arrabbiare?
R:Quando qualcuno vuole fare il furbo. Non mi va di contestare e lascio correre. Ma mi verrebbe voglia di dire “Uaglio’ cca nisciuno è fess”.
D:Con quali artisti avresti voluto lavorare ma non ci sei mai riuscito?
R:Le due coppie Sebastian Arce e Mariana Montes e Gustavo Naveira e Giselle Anne
D:Quali consigli daresti a chi per la prima volta vorrebbe organizzare un evento di tango?
R:Prima dei consigli gli farei delle domande. La prima sarebbe “perché?” Il consiglio sarebbe conseguente alla risposta. In ogni caso: non sempre è oro quello che luccica. Io tutti i consigli che mi do non riesco mai a seguirli. Ad esempio: “prepara tutto in tempo, un anno prima”. Non ci riesco mai… Non sempre però è colpa mia: non puoi dettare tu i tempi delle pubbliche amministrazioni se cerchi delle location che appartengono a loro. Se invece ti chiudi in un campo di basket o in un centro commerciale allora puoi. Ma non è questo il festival che mi piace organizzare … e allora ci vuole elasticità mentale, capacità di modificare il progetto a seconda delle disponibilità etc..
D:E' possibile realizzare eventi in sinergia con altri organizzatori? Ti piace partecipare ad eventi non tuoi?
R: E’ possibile ma molto difficile. Io ci ho provato molte volte. L’ultima, ancora in piedi, è l’organizzazione di una serie di feste organizzate da tutti gli operatori del settore di Napoli. Abbiamo fatto un primo evento in collaborazione con la fiera della danza di Napoli; poi un secondo in occasione del “dia del tango”. Da questi due eventi abbiamo ricavato un piccolo utile che conserviamo per realizzarne un terzo dove potrà essere speso perché l’evento sia migliore del precedente. Questo è un progetto semplicissimo: non si pretende un’unità di intenti, né una condivisione di attività durante l’anno; si vuole solo offrire al pubblico tanghero l’opportunità di incontrarsi, di conoscersi tutti, di ballare insieme almeno in tali occasioni in luoghi adatti a contenerli tutti. Molti utenti, infatti, si lamentano del fatto che, con il proliferare delle milonghe, diminuisce la possibilità di incontrare i vecchi amici che frequentano milonghe differenti. Le difficoltà che sono sorte riguardano la speranza di alcuni organizzatori di avere un supporto al successo dei propri eventi. Purtroppo non basta incontrarsi per essere di supporto su attività di altri quando la concorrenza è oggettiva. Succede che ciascuno vede la realtà dalla propria ottica senza sforzarsi di ascoltare gli altri. In questo dimostrando poco “tango” inteso come capacità di ascoltare. Sembra sempre che al centro ci sia l’esigenza di qualcuno e che gli altri debbano supportarla. Non ci si sforza di capire quali sono i problemi degli altri e si scende in categorie generiche di “rispetto”, “onore”, “bene”, “male” che però hanno valore solo se si sente una parte sola in causa. Quando si sentono le altre, tali valori si ribaltano e il “bene” diventa “il male” e quello che sembrava poco “rispettoso” diventa “ossequioso”. Il problema è che il mercato non ha valori morali e non si può pretendere da se stessi di essere detentori della moralità. Quello che ho cercato di realizzare è un tavolo intorno al quale sedersi per poter almeno esprimere i propri punti di vista, lasciando sempre tutti liberi di perseguire le proprie opinioni e obiettivi. Ma questo non funzionerebbe se non ci fossero delle cose da fare insieme. Da qui le nostre “feste”. Queste prime due sono riuscite. Vedremo cosa succederà per le altre…
Per quanto riguarda la mia partecipazione ad eventi non organizzati da me, in quanto amante del tango, mi piace moltissimo parteciparvi anche perché sono veramente rilassato e non devo pensare a niente altro che a ballare. Cosa che ho fatto girando l’Italia, l’Europa e Buenos Aires, varie volte. Questo però si scontra da alcuni anni con la mia condizione di padre. Da otto anni infatti sono felicemente padre: Ho tre bimbi meravigliosi e ho gran difficoltà nel partecipare addirittura alle due milonghe settimanali che organizzo io… Sembra però che questa fase si stia superando … Milonghe aspettatemi… arrivo!
Passiamo ora alle domande “fuori” dagli schemi
D:Quale evento non tuo avresti voluto organizzare?
R:Non lo so. Ho sempre avuto difficoltà a rispondere a questo tipo di domande… “Chi avresti voluto essere se non fossi stato tu…” Ho impiegato 57 lunghi anni a “costruire le mie rughe”, a modificare me stesso e ce ne vogliono ancora tanti per cercare di migliorare quello che sono… Non ho mai pensato che avrei voluto essere un altro né di fare altro da quello che ho fatto. Mi è capitata l’occasione di organizzare il primo tanotango festival e da allora ne ho fatti 10. Non mi sento un organizzatore di eventi. Se avessi potuto, me ne sarei stato in panciolle tutta la vita… ma forse avrei molte meno esperienze di quelle che ho fatto… non so.
Quali sono gli eventi che mi sono piaciuti di più? Forse Sitges perché è un festival che ha le stesse caratteristiche del mio: unisce la passione per il tango a quella per il luogo dove si balla. Ma in ogni caso il festival più bello è quello dove ci vai con le persone migliori, con l’animo più aperto e una grande leggerezza. L’organizzazione c’entra fino ad un certo punto… la voglia di vivere è dentro di te e ogni problema si supera e diventa parte del divertimento se c’è la giusta predisposizione. Altrimenti è solo noia e “Alpitour”
D:Preferisci i festival o le maratone, e perché ?
R:Non mi piace pensare al tango come a uno sport e la maratona è uno sport. Non mi piace pensare al tango come a una fatica e la “maratona” è lo sport di “fatica” per eccellenza. Ogni volta che sento parlare di maratona mi viene in mente il film “non si uccidono così anche i cavalli?”. Non ho mai partecipato ad una maratona, forse solo per questo. Anche se però ricordo un “encuentro” a Roma intorno al 2000 quando le maratone non esistevano, in cui dormimmo nei sacchi a pelo nella milonga… A me piace la situazione di viaggio e di avventura. Non sapere cosa succederà, fino alla fine. Non mi piace però essere spinto a ballare, ballare, ballare. Io ballo per conoscere, capire, sentire. Non per ballare. Per me il ballo è un mezzo e non il fine. Ballando bene si comunica meglio, come quando si ha una migliore proprietà di linguaggio; ma non è detto che qualcuno, che ancora sta imparando a parlare la tua lingua, non abbia delle cose interessanti da dirti e al contrario che un grande scrittore dica un sacco di cose che non ti piacciono o, peggio, che non abbia niente da dire e riempia i suoi testi di “niente” così come alcuni ballerini anche se non bravissimi ti comunicano tantissimo, mentre è possibile che altri, pur bravissimi, non comunichino niente con il loro ballo… senza parlare poi delle farse… interpretazioni di false passioni, false emozioni, intensità sempre falsamente altissime, visi sempre falsamente presi dal tango con quella persona per poi essere identicamente presi dalla ballerina successiva… Avanti, sotto a chi tocca… Adrenalina. Sì tanta adrenalina che ti permette di andare avanti e avanti, ma poi?
Quando ho cominciato a ballare tango pensavo che la comunicazione verbale stesse soppiantando quella non verbale e che ci stavamo perdendo gran parte dell’esistenza, mentre il tango poteva aprire la porta ad una diversa forma di comunicazione più sincera e profonda che superasse le barriere di appartenenza a gruppi politicamente orientati, a pensieri condizionati. Ma qui si esagera. Si balla per non parlare più, per impedire ai cervelli di pensare, per tornare a casa obnubilati… così come quando si va ai rave… Ma forse mi sto sbagliando… Forse il mio è solo un preconcetto. D’altra parte neanche ai rave sono mai stato… Devo partecipare per poter parlare? Mi hanno detto che è indispensabile essere invitati alle maratone per potervi partecipare. Io non sono mai stato invitato. Ne hanno fatta una poco tempo fa a Napoli. Non pervenuto invito. Allora chi sono gli invitati? Forse chi appartiene al clan?
D:Come giudichi complessivamente il livello delle milonghe e dei grandi eventi italiani? Migliore o inferiore rispetto a quello europeo?
R:Il livello come location? Dello stesso livello dei grandi eventi europei. Sono stato nello stesso anno a Mantova, Lisbona, Firenze e Catania: non mi ricordo più quale era Mantova, quale Lisbona e quale Firenze… Catania sì la ricordo bene: la rotonda in riva al mare… i bagni la mattina. Certamente molto più bella. Livello di ballo? Ritorniamo al problema di prima: il livello cresce se i bravi ballerini ci vanno; ma se preferiscono ballare tra di loro e non hanno interesse ai luoghi dove si balla… allora per me sorge un’altra domanda: perché organizzo il festival. Per chi. Forse sono fuori dal movimento del tango mondiale, ma a me non interessa il gregge. A me piace il bello e per me il bello è assistere a una storia d’amore o di amicizia che nasce con il tango e prosegue in riva al mare. Non mi importa il livello della loro danza. Mi interessa l’intensità della loro comunicazione. E questo è vero in Italia, In Europa… in tutto il mondo.
D:Secondo te nel tango esistono dei clan? La loro presenza può risultare determinante per il successo o il fallimento di un evento?
R:I clan esistono. Chi lo può negare? Io non appartengo a nessun clan, ma li ho visti all’opera… La mia domanda è la seguente: una volta fatta la classificazione in base alla presunta bravura dei partecipanti, una volta determinato il limite inferiore di accettazione al clan… poi dentro non si fanno gerarchie? Una persona che è gerarchica come può poi non giudicare chi sta dentro con gli stessi parametri di gerarchia come una graduatoria…. e mi viene da ridere al pensare come ciascuno di loro venga considerato dalla persona con cui sta parlando e con cui sta condividendo l’appartenenza al clan… fratelli coltelli… sostituendo all’essenza del tango che, secondo me, è la relazione, delle valutazioni basate sulla tecnica che mostrano in se stesse la carenza di contenuti da comunicare. Ma non è sempre così. Ci sono anche le persone che viaggiano tanto nel mondo del tango e si conoscono e hanno voglia di rivedersi e di ritrovarsi e si danno appuntamento alle prossime volte… Questi non si dividono tra bravi e meno bravi e sicuramente sono persone che contribuiscono al successo degli eventi e che è bello incontrare e rincontrare.
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