domenica 8 febbraio 2009

MARIANO "CHICHO" FRUMBOLI: IL TANGO COME ARTE ASSOLUTA


Un artista multidisciplinare atterrato nell’universo del tango. Sto parlando dell’unico ed inimitabile protagonista dell’innovazione tanguera per eccellenza: Mariano “Chicho” Frumboli. Per chi , come il sottoscritto, si è avvicinato al tango alla fine del millennio, ha rappresentato indubbiamente una rivoluzione della portata di Jimi Hendrix, Doors o Velvet Underground nella musica, Jackson Pollock, Warhol, Basquiat nell’arte pittorica, Nouvelle Vague, Kubrick nel cinema. Mi ricordo ancora un piovoso week-end a Bologna dove tutti scoprimmo che esisteva un movimento allora ignoto ai più quale la sacada atras o che i ganchos potevano essere marcati senza distruggere la schiena e le vertebre della ballerina. E poi la musicalità e la ritmica. Mi ha affascinato la lettura unica e senza precedenti dei tanghi, dai tradizionali alle melodie meno consuete. Chicho domina la musica, con la piena consapevolezza di poterci giocare intorno, destrutturando la ritmica al fine di cogliere nella sfumatura della battuta il plus per inserire una dinamica. Preferisco parlare di dinamica con Chicho e non di passi, perché questo incredibile artista durante le sue lezioni o nelle esibizioni fornisce un kit di idee e soluzioni perché ognuni diventi consapevole della struttura del tango e possa gestire ogni situazione e crearsi una personalità. Sono in profondo disaccordo con chi addossa a Chicho la colpa di aver creato emuli sterili pedissequamente intenti a riprovare passi. Piuttosto dal 2000 c’è una generazione di tangueros che vogliono investigare le dinamiche del tango, personalizzandolo e fagocitando le innovazioni. Anche se il grande Chicho è unico perché la sua naturalezza è immensa al pari della sua indole tranquilla e riservata. Quando nel tango vedo, da parte di certi maestri argentini e non, atteggiamenti di spavalederia ed arroganza sorrido e minimizzo, pensando a come Chicho approcci ogni momento, dalla didattica alla performance pura con estrema tranquillità. Con una calma che nonè falsa modestia, ma la convinzione che l’arte ha una componente giocosa e ludica quasi da non prendersi sul serio. Mentre sto scrivendo questo pezzo come d’incanto in un trip – flash sono devastato dai flashback di tutte le performance di Chicho in nquestìultimo decennio, le sue partner, le sue scelte musicali, alcuni movimenti e situazioni che hanno fatto storia. Lucia Mazer, Eugenia Parrilla, Mariana Dragone, Juana Sepulveda, e da me vista solo in video su Youtube con Claudia Jakobsen e Cecilia Gonzales. Una sorta di greatest hits che di sicuro riempie il mio pantheon tanguero. Ricordo Chicho e Lucia in una soffitta bolognese, arroventare la platea con cinque pezzi di brivido, volcade e colgade 5-6 anni in anticipo con i tempi, o una inrcedibile performance all’ATZ a Zurigo dove perfino il glaciale pubblico elevtico e nordeuropeo si sciolse in un applauso lunghissimo. E perchi l’ha visto nel 2001 nell’aureo salone del Casino di Venezia, sede estiva del Lido, dove gli stucchi dorati e gli spazi immensi parevano cedere sotto la densa ritmica di Reliquias Portenas, o la melodia affabulatoria e soave di Bahia Blanca. Con Eugenia fra tanti momenti memorabili ne ricordo due: il debutto nella campestre calura infuocata di Pelaloche. In questa milonga rurale genialmente organizzata da Marcello e Maria Elena di Mantova Chicho inaugurò una fluidità inedita che si coniugava alla affusolata ed eterea femminilità di Eugenia. Ma su tutto, l’ultimo Festival di Mantova svolto al Circolo Cittadino. Un luogo madido di memoria , il cui consumato parquest portava le stimmate delle feste che in oltre cento anni si sono succedute e i grandi tangueros che lo hanno solcato. Di lì a poco quel salone non sarebbe più esistito, un perverso disegno immobiliare ne avrebbe fatto appartamenti. Era destino che Chicho dovesse chiudere in bellezza la storia di questo posto senza tempo. Una performance epocale. Ricordo i silenzi attoniti del pubblico che stava assistendo a qualcosa di irripetibile, gli occhi lucidi a fine performance, il groppo in gola. Fu un crescendo di emozioni in un climax incontrollabile, da Tinta Verde a Juan Cambareri… Rammento una Eugenia stremata, quasi al limite di una sopportabilità psicofisica, ma contenta come mai. Per ultima, ma come direbbero gli americani, last but not least, Juana Sepulveda, giovane ed intensa ballerina, dotata di una calma e sicurezza incredibile, leggiadra ma nello stesso tempo presente con un bellissimo approccio giocoso al tango. Chicho e Juana sia in temi soft e struggenti di Piazzolla, che in movimentati Reyes del tango, affascinano, rinnovando dinamiche strutture. Ho citato prima l’Action Painting, la corrente artistica dell’improvvisazione e dela velocità pittorica che spacca il tempo in frammenti metanarrativi. Con Chicho mi capita questo di saltare da una disciplina all’altra. Arrivano dunque gli splendidi videoclip che sono presenti sul suo sito web. Veri frammenti di poesia urbana che in una Parigi di fine millennio guardano con disincanto al tema della città e della relazione del corpo con lo spazio, in un sottofondo intriso di poesia tanguera. Non è il filmato di un’esibizione o di workshop con passi, ma una lettura visiva delle idee e della weltanschauung di un artista del suo tempo. Congedo tutti con un invito, quello di godersi Chicho in milonga quando balla privatamente, ritagliandosi un angolo a sé fra la congestione e il traffico della pista, senza i clamori del grande maestro. Scoprirete il perché il tango affascina, e perché il tango avrà lunga vita!