mercoledì 15 dicembre 2010

NEON: I RITUALS DELLA NEW WAVE



Il gelo immobile e pungente che colpisce oggi la laguna è un meraviglioso paesaggio complementare all’ascolto dei Neon.


Una delle band fondamentali di quella incredibile fucina di rock alternativo che fu la Firenze degli eighties. Culla divisa tra inquietitudini post rock e liturgie dark, perturbate da fremiti post punk. La band di Marcello Michelotti rappresenta la migliore risposta italiana del tempo ai robotizzanti battiti dancefloor alla Talking Heads, all’elettronica mai cerebrale ma convogliata sulle sapienti direttrici Kraftwerk / Human League.


A distanza di oltre un ventennio, godersi un disco del calibro di Rituals equivale a godersi un viaggio in prima classe tra uno straniante e mai banale compromesso tra sperimentazione ed electro futurismo, dominato dalla voce di Michelotti, regale e cristallina, adamantina nel suo freddo nitore. Questo lavoro sciorina delle ballad oscure e criptiche che possono regalare un sussulto in un tema del calibro di Isolation, dove la batteria nichilista apporta quel tribalismo peculiare di certa new wave. Una formula di grande qualità che trascinò questa band fiorentina a “supportare” nei loro tour artisti del calibro di Simple Minds e John Foxx.


Ed allora l’invito è a sprofondare in poltrona, in una fredda giornata di dicembre, ascoltando i Neon e rievocando, forse in maniera nostalgica, una gloriosa stagione del rock italiano.

domenica 28 novembre 2010

Sebastian Arce e Mariana Montes: l'epifania del TANGO



… Vedere ballare Sebastian Arce e Mariana Montes, vuol dire assistere all’epifania del Tango. L’avvento, senza restrizioni o inutili orpelli, del Tango.


Una coppia che, oltre ad essere già da tempo entrata nell’olimpo degli artisti del 2x4, riesce a creare ad ogni esibizione, una magia irripetibile.


Dopo aver assistito ad Astintango Festival , a due interpretazioni di Sebastian y Mariana, mi sono trovato all’improvviso a percorrere mentalmente, l’evoluzione di questa coppia nell’ultimo decennio, e analizzando a mente fredda tutto ciò, mi sono accorto che avevo affrontato un tour virtuale nel tango stesso.


Recuerdo, e La milonga de Buenos Aires, i temi a cui mi riferisco, erano un compendio, ma non nel senso riduttivo del termine, dei vari stili del tango, con un fattore denominatore comune: ogni singolo momento, ogni passo, rasentano la perfezione e vivono come momento autonomo, in una bellezza e densità uniche. Dalla camminata al giro, dalla sacada al boleo, che Mariana disegna sul piso e nell’aria, c’è una liturgia del “punto d’arrivo”. Come se dopo aver ammirato l’esecuzione di un movimento si convenga all’impossibilità di ridurre quella forma ad altra possibilità.


In Sebastian c’è la consapevolezza e la sicurezza del tango. La semplice camminata che basta a rendere un ballo assoluto. Non autoreferenziale, ma in grado di far godere gli astanti di quella semplicità sublime che supera le piroette fuori tempo o illogiche di tanti esecutori meccanici senz’anima.


Chi è nel tango come me da tempo, riesce a scovare in questo Sebastian ultima maniera, tutto fuorchè manierista, le molteplici anime di questo ballo, che comunicano fra di loro in un orologio perfetto. È sottintesa la dinamica di una coppia rodata, ma che ha una dote straordinaria: mettersi sempre in discussione. Non sentirsi mai arrivati, ma sviscerare il tango nei suoi dettagli per svilupparne aspetti nascosti o sotterranei. Straordinario è l’uso dell’abrazo, e credo che pochi come Sebastian ne comprendano le potenzialità. Ricordo a proposito una piacevole conversazione sul tema.


Più passa il tempo e più resto fermamente convinto che il tango sia scritto nel destino di questi grandi artisti che riescono a far emergere l’anima, le sensazioni nascoste che sottendono a quest’arte.


Alcuni obietteranno che lasciare il destino nelle mani di pochi è un grande rischio, ma lo si può correre volentieri, se il contraltare è la banalizzazione e l’impersonalità di chi ne vuole fare uno sterile atletismo. Mascherato con la musica del tango.

domenica 14 novembre 2010

Inviato alla Biennale



Pochi critici d’arte sono stati anche grandi cronisti d’arte. Uno di questi è certamente Gillo Dorfles. Ormai prossimo al secolo, personalità poliedrica, dotata di raffinato spirito critico ha di persona vissuto i momenti topici della Biennale di Venezia. I suoi articoli più brillanti ed acuti sono ora, per la gioia di appassionati d’arte e non, raccolti in un bel volume della Scheiwiller.


“Inviato alla Biennale” è un vorticoso tour de force fra ismi ed avanguardie, che si legge tutto d’un fiato. D’altronde il secolo scorso non è stato secondo una celebre definizione, il Secolo Breve?


Non perdetevi l’occasione allora di gustarvi un ritratto indimenticabile della Biennale e della storia dell’arte contemporanea italiana del nostro recente passato, dove forse si trovano le chiavi per leggere l’immediato futuro.

La summa del jazz tricolore



Un’opera monumentale di cui si sentiva il bisogno. “Il jazz in Italia”, lavoro eroico per mole e fatica, oltre 1600pagine, uscito per i tipi della EDT, a cura di Adriano Mazzoletti, rappresenta una summa omnia del jazz nel Belpaese dallo swing agli anni Sessanta, ed allo stesso tempo una sontuosa storia del costume e dell’evoluzione sociologica dei costumi e gusti musicali degli italiani nel secolo scorso. Tutti i grandi nomi vi sono contenuti, anche con gustosi aneddoti, da Gorni Kramer a Gaslini, una guida imprescindibile per capire un fenomeno che fino all’avvento della musica leggera e del rockj rappresentava lo spirito libero e ribelle per molte generazioni.

domenica 7 novembre 2010

Fernando Sanchez y Ariadna Naveira, o della pulizia cristallina del movimento



Una chiarezza di esecuzione ineccepibile ed una pulizia di movimento disarmante. Tra le giovani coppie di artisti nel panorama tanguero internazionale Fernando Sanchez y Ariadna Naveira si distinguono oltre che per un talento puro, ma controllato nell’esuberanza giovanile, nell’affrontare il momento topico dell’esibizione con una calma e lucidità da veterani del piso. Nell’ultimo anno ho visto dal vivo ballare questa coppia in 3-4 occasioni e questo è indubbiamente l’elemento distintivo tra loro ed altri artisti pari età, uniti ad un movimento rigoroso e quasi ascetico nella linearità della forma. Ogni passo, dal giro alla colgada sembra strutturarsi in un fotogramma assoluto, ed il superfluo viene sfrondato per arrivare all’essenza ed alla purezza del gesto. In questa semplicità vi è l’arte difficile del rendere agli occhi del pubblico tutto fluido e denso. Una qualità che pochi riescono a vantare. Soprattutto alla luce di un ballo che nelle nuove generazioni pare scontato e ripetitivo nella maggior parte dei casi a scapito soprattutto di una musicalità solamente ritmica ed acefala nella melodia. Fernando e Ariadna, peraltro ottimi didatti alla luce del gradimento riscontrato nelle loro lezioni, riescono con il connubio fra talento e ricerca stilistica a gratificare il pubblico nell’esibizione interpretando un vasto campionario di autori, dalla guardia vieja alla contemporaneità, risultando assolutamente naturali. Ritengo che vedere ballare questi due giovani artisti possa, se si affronta questo momento con la lente di un entomologo, aiutare a comprendere l’essenza del tango, dei suoi movimenti. Le dinamiche affiorano nude e si legano alla musica, e grazie ad una lieve e mai banale ironia generano un mix di emozioni. Perché è l’emozione la linfa vitale dell’arte tanguera.

Grano Rosso Sangue



Da uno dei migliori racconti brevi di Stephen King, un thriller in puro stile stile mid eighties che ha per protagonista una coppia che si imbatte in uno strano paesino del Nebraska popolato solo da adolescenti. In breve tempo scopriranno che tutti gli adulti sono stati sacrificati in nome di una divinità associata al grano. Indimenticabili le scene iniziali e l’atmosfera oppressiva della campagna americana che l’apprenza bucolica sembra solo aumentare con uno stridente contrasto. Un film diventato rapidamente di culto forse perché interpreta con l’efficacia di alcune scene l’eterna rivalsa e voglia di contrasto della dimensione infantile adolescenziale rispetto al mondo degli adulti. Interessante questo terrore e sangue legato al grano, un simbolo dell’arcaicità e della terra madre.

Viveree morire a Los Angeles


Uno dei capolavori di William Friedkin che per cinismo, sguardo disincantato verso la realtà, commistione perversa fra bene e male fa impallidire persino “Il Braccio violento della legge”. Siamo nei dorati anni ottanta , ma la Los Angeles assoluta protagonista di “Vivere e morire in L.A.” è una città sudicia nell’anima, corrotta dove anche le forze della polizia si muovono al di fuori della legalità pur di affermare la propria legge. Ed allora il duello manicheo fra il falsario Willem Dafoe, qui ai massimi della sua arte, ed il poliziotto William Petersen, futura stella del serial C.S.I. perde la sua rigidità ontologica fino sconfinare nella sadica e cieca caccia all’uomo che vede il tutore dell’ordine perdere ogni moralità e remora pur di catturare la sua preda. Siamo forse dalle parti dell’Infernale Quinlan, ma la violenza e la crudeltà sono inedite. Petersen crea prove, commette atti fuori dalla legalità, ma alla fine perde la vita in una trappola creata da se stesso per incastrare il falsario. I lati oscuri della natura umana sono portati alla luce del sole, dallo stile crudo, iperrealistico di Friedkin che chiude questa amara parabola con un finale senza l’hollywoodiano happy ending. Iniziano già le tensioni e le disillusioni degli anni del riflusso, un presagio in anticipo dell’armageddon di fine millennio.

martedì 2 novembre 2010

Anni'70. Quando una squillo va dalla psicanalista.



Il tormentato ed ambiguo rapporto fra un detective privato ed una prostituta d’alto bordo in cura da una psicanalista. È il carburante esplosivo di uno dei film più rappresentativi della scena New Hollywood degli anni’70, “Una squillo per l’ispettore Klute”. I ritmi lenti, ma nevrotici, le luci soffuse e spesso notturne, la sensualità meccanica ed algida di una splendida Jane Fonda ci fanno scivolare quasi inevitabilmente in un noir intimistico ma allo stesso tempo evocativo delle ansie e delle nevrosi di una generazione e di un mondo avvinghiato a quelle che una volta si definivano formalità piccolo borghesi. Indimenticabile il contrasto tra la disillusione della prostituta e malcelato impaccio di un timido ispettore di provincia, interpretato da un Donald Sutherland ai massimi livelli. Il suo sguardo attonito e perennemente incerto vale da solo la pellicola, anche se poi Fonda si accaparrò l’Oscar . Quarant’anni fa, questo film ha scovato il torbido e le pulsioni che si annidano nel perbenismo della middle class con uno stile sobrio, inappuntabile e mai volgare. Un capolavoro da riscoprire, anche perché testimonianza di un cinema ormai storicizzato.

mercoledì 15 settembre 2010

LOVE... it's only LOVE



Lo spirito puro della psichedelica di Los Angeles profanato da un oscuro barocchismo. Arthur Lee è il geniale leader dei Love che regalano al pubblico nel 1968 un capolavoro fulgido nella storia del rock, una pietra miliare dal nome Forever Changes. Preceduto da altri due lp, l’omonimo lavoro del 1966 ed il successivo Da Capo, questo terzo album evoca dalla prima all’ultima nota, la voglia di racchiudere l’universo e le sensazioni in un unico suono totalizzante, che riesce a far convivere brani taglienti come A House is not Motel con la pink floydiana The Red Telephone. Decisamente felice l’incursione latinp – spagnoleggiante di Alone again or e soprattutto il capolavoro di malinconia e languore sentimentale Andomoreagain. I Love ad ormai quarant’anni riescono ancora a vestire pienamente i panni di cult band americana per eccellenza. E dispiace annotare come tanti giovani contemporanei innamorati di folk band quali Belle & Sebastian ignorino un diamante grezzo, ma pur sempre diamante quale i Love. Una rock band che un triste destino intriso di stupefacenti e sregolatezze ha segnato subito in maniera indelebile.

martedì 7 settembre 2010


Seconda Parte dell'Intervista ad E' Tango



Intervista rilasciata in primavera alla rivista E' Tango di Adriana Pagnottelli ( http://www.e-tango.it/), ed in uscita sul numero di settembre 2010.


Prima Pagina

lunedì 6 settembre 2010

Desorden Perfecto


Nuove sonorità tanguere. Un lavoro molto interessante, superiore ad altre produzioni nostrane ed internazionali. Riscontro in primis il cercare una profondità dei temi musicali soprattutto non banalizzando le melodie argentine / latin sound.

Per alcuni versi mi ricorda un approccio alla Narcotango, con degli aspetti alla Gotan, i loro pezzi meno commerciali, specialmente nel non voler banalizzare con refrain ad effetto.

Il tutto denota una perfetta conoscenza del lavoro derivante dalla competenza tecnica che permette di mantenere un certo distacco emotivo e non farlo sentire un prodotto alla moda.

DA ASCOLTARE... magari anche live.

domenica 5 settembre 2010

Il branco in città... i guerrieri della notte



Una New York violenta, notturna, gelida, ma con un fascino senza eguali. È la città americana, vista attraverso gli slum, le periferie rischiarate dai neon la protagonista di questo epocale film di Walter Hill. I Guerrieri della Notte è una riduzione contemporanea dell’Anabasi di Senofonte, traslata attraverso gli stilemi ed i codici dell’horror, del thriller ma forse sopra tutto del western, il genere cinematografico made in Usa per eccellenza. La trama è lineare, ovvia nella sua geometrica autoreferenzialità. Il capo della più potente gang convoca tutte le altre band per stringere un patto di non belligeranza e scatenare una offensiva senza precedenti per conquistare New York. Improvvisamente un colpo di pistola mette termina alla sua esistenza e la colpa ricade sui Warriors, banda di Coney Island. Disarmati ed inseguiti da tutte le atre band, riusciranno, dopo aver perso il proprio capo, ad auto scagionarsi. Denso, teso, con un uso perfetto dello spazio filmico, I Guerrieri della Notte è il capolavoro assoluto di Hill, una parabola lucida e glaciale sull’uomo come animale metropolitano, che si aggira come un lupo in branco alla ricerca di una lontana meta salvifica. E fuori campo una suadente, calda voce che incita per tutta la pellicola alla resa dei conti…

La leggenda del Mediterranean Summer Tango Festival. Da quest'anno inizia il mito



Un’esperienza davvero unica che raramente, forse mai , mi è capitato di provare nell’ambiente talvolta stantio ed autoreferenziale del tango. Mediterranean Summer Tango Festival.


A Porec, in Croazia, due persone uniche dotate di un mix singolare di creatività, fantasia, genio, umiltà, contagiosa simpatia, Zrinko & Tajana hanno dato vita ad un evento che è riuscito a coniugare la socialità del tango con lo spontaneismo delle feste giovanili.


Milonghe intense, forti emotivamente che vedevano un pubblico giovane, non solo anagraficamente, ma soprattutto nello spirito, scatenarsi in pista fino alla fine delle serata. Ho percepito una sensazione di deja vu, di quelle feste cui si andava da ragazzi, al liceo con uno spirito rilassato, pronto a godere attimo per attimo del presente, senza secondi fini o forme mentali precostituite. Su questo hanno certo influito le performance delle tre coppie di maestri.


Federico Naveira y Ines Muzzopappa, freschi, poetici e delicati nel loro modo di governare il piso e la musica, alla ricerca di un passo etereo, circolare.


Bruno Tombari y Mariangeles Caamano, ironici, coinvolgenti, musicali, con una teatralità esuberante.


Pablo Rodriguez y Noelia Hurtado, esuberanti, irruenti, sensuali, dall’incedere rock, esplosivi.


Non posso poi non ricordare la stupenda gita in barca alla scoperta di Rovigno e della costa croata. Vedere oltre duecento tangueri, che per un intero pomeriggio hanno danzato convulsi su un barcone ai ritmi dance degli ultimi trent’anni, è stata per me un’esperienza quasi mistica. La dimostrazione che forse l’universo tanguero ha dei risvolti nascosti, può rivelare la voglia di aggregazione e di divertirsi che va oltre i 3.40 minuti di un pezzo di Donato, o i 6 minuti di Bruma dei Bajofondo.


Aspetterò con ansia un altro anno che spero passi in fretta, per rivivere quelle emozioni, quelle sensazioni, quelle immagini che sono sicuro due geni “diabolici” quali Zrinko & Tajana mi sapranno regalare.


E da luglio viaggio sul web alla ricerca di qualche nuovo video promo…


Il tango è anche questo, ironia, voglia di divertirsi, giocare con i linguaggi per colpire la sensibilità e l’animo del pubblico.


Ripetersi non è facile, ma superarsi è esaltante.


Chuck Norris lo approverebbe!



lunedì 23 agosto 2010

Come sarà questa nuova annata tanguera?


Sono tornato dalle vacenze estive e mi chiedo: come sarà questa nuova annata tanguera?

Saremo invasi da milioni di neo tangueros fotografi?

Saremo invasi da tangueri super vip?

Saremo invasi da milioni di tango marathons o tango festivals?

Saremo invasi dai tanghi di Edgardo Donato o di Fulvio Salamanca?

Sarà più di moda ballare con tanguere dall'Est Europa o dagli Stati Uniti, o dal Nord Europa?

....

martedì 20 luglio 2010

Jarman e la luce dilatata di The Last of England


Ne Last of England, i colori blu notte, malva, arancio bruciato, riesumeranno una Londra come dipinta da Turner, elargendo una visionaria bellezza, mai raggiunta prima dal regista, come se tutto venisse svolto in un sogno. Il pittore inglese serve a studiare gli effetti atmosferici, la volontà di raffigurare momenti suggestivi di fusione tra luce, colore, vapori, acqua, conduce a rinunciare sostanzialmente all'analisi dei particolari, privilegiando l'effetto generale, come nel londinese La Mattina dopo il Diluvio che intende raffigurare il momento dello sfolgorio del sole dopo il diluvio universale, il cui soggetto è però solo un pretesto per affrontare il tema della teoria della luce, ed esprimere attraverso le calde tonalità del giallo e del rosso un momento di gioia. La crudele ed amara giustapposizione delle immagini storiche di repertorio, con quelle monocrome della Gran Bretagna contemporanea degradata, mette in mostra una saga nazionale e familiare. é un film costruito mediante sequenze che sono spesso sottolineate solo tematicamente conferendo una ossatura a collage debitrice dei Super 8. Una storia d'amore muta, più limitrofa alla poesia che alla prosa, operando al contrario di un cinema legato alla parola. L'aria carnascialesca e lo spirito anarcopunk di Jubilee sono sostituite da un tetro lamento, da una rabbia non trattenuta di un documentarista poetico che si giova di un tour nella terra desolata dei docklands londinesi, nelle loro strade brulicanti di pattume, per plasmare con evidenza un'urbanità apocalittica, un'atmosfera d'isteria, paranoia e pessimismo, con uno stile da collage dada cui fa riscontro una commistione di sonorità di diversa origine ed immagini su diverso supporto e di diversa natura, unito ad un perverso piacere derivato dalla bellezza intima delle immagini filmate.

Caravaggio, il vangelo pittorico di Jarman



Un film pieno di poesia, di allusioni e rimandi artistici, affondato nello spirito della filosofia seicentesca, in quel periodo dove si è provveduto alla costruzione dei ruoli sessuali e soggettivi, ma al tempomstesso estremamente contemporaneo. Il filosofo martire con la sua concezione del mondo composto da infiniti atomi viventi, crea un background culturale con l’utilizzo non casuale o fortuito degli oggetti che corrisponde ad una precisa atmosfera pittorica e cromatica. L’attualità del film è segnata da espedienti che sconcertano lo spettatore in un primo momento, come quello di non usare sempre abiti d’epoca, di introdurre oggetti anacronistici ( auto, biciclette, la radiocronaca di un incontro di calcio) con richiami sapientemente ammiccanti, intrecciando un’atmosfera metastorica imbottita di insert spazio – cosmici, non circoscrivendo la scelta degli oggetti e dei costumi alle cose d’epoca, pareggiando lo stesso trattamento riservato dal Merisi ai soggetti biblici ed all’estetica dell’uso della storia e della religione. Jarman ha ricusato l’ambientazione storica per tenersi alla larga da qualsiasi lusinga agiografica, optando per una singolare e anomala rivisitazione degli anni sessanta in cui però accanto ad auto lucide, moto nascoste in fienili e calcolatrici da taschino, sopravvivono anche lussuosi abiti seicenteschi ed ecclesiastici perfettamente abbigliati da cattolicesimo barocco. Lo stesso regista affermò che “ nella realizzazione di questo film ho pensato molto al cinema muto, se c’è un’influenza sensibile in questo film, allora è quella del cinema di Dreyer, un cinema statico che amo moltissimo”

martedì 6 luglio 2010

The Legendary Bob Sinclar


ARRIVA IL GRANDE BOB SINCLAR...

martedì 15 giugno 2010

Giuliano Palma, live a Sottomarina



Lo spettacolo gratuito, a Sottomarina (VE) domenica 20 giugno 2010, ore 19.00, nello stabilimento balneare di riferimento per la movida estiva del Nord Est


ALL’INDIGA ARENILE INFUOCATO PER IL CONCERTO DI GIULIANO PALMA & THE BLUEBEATERS


Pubblico pronto a scatenarsi sulla spiaggia. La band riproporrà i grandi classici, da Tutta la mia Città e Messico e Nuvole fino all’ultimo singolo Nuvole Rosa. La stagione “on the beach” dell’Indiga ha in cartellone un altro appuntamento di rilievo: domenica 25 luglio, prevendita online sul sito www.molocinque.it, arriva Bob Sinclair, il più grande dj al mondo.


Una domenica all’insegna della grande musica live da ballare a piedi nudi sulla spiaggia. Domenica 20 giugno 2010, dalle 19.00, ingresso gratuito, all’Indiga di Sottomarina ( Venezia), Via San Felice Zona Diga, lo stabilimento balneare ormai meta di culto per la movida estiva del Nordest, si terrà l’atteso concerto di Giuliano Palma and the BlueBeaters.

Una band che ha raggiunto in breve tempo la celebrità arrangiando con successo , in chiave ska e rock steady, hits e brani misconosciuti reggae, rock e pop del passato. Il nome del gruppo è infatti un chiaro omaggio alla musica giamaicana dei sixties , il blue beat, e grazie alle istrioniche qualità del leader Giuliano Palma, ex frontman dei Casino Royale, altra storica band della scena indie nazionale, grandi classici sono ritornati in auge in una veste nuova ed insolita.


Tra questi ricordiamo "Tutta la mia città "dell’Equipe 84, "Messico e Nuvole" di Paolo Conte nonché cavallo di battaglia di Jannacci, "Per una lira" di Lucio Battisti, "Che cosa c’è" di Gino Paoli. Brani appezzati dal grande pubblico sia nei passaggi radiofonici che nelle esecuzioni live, fino ad arrivare all’ultimo singolo "Nuvole rosa", un inedito che vanta la prestigiosa collaborazione di Melanie Fiona, regina delle charts nel 2009 con il singolo "Give it to me right", per un duetto in pieno stile Motown.


Giuliano Palma suonerà su un palco posizionato di spalle al mare. Una scenografia naturale di grande impatto per tutti i presenti che potranno gustarsi il suggestivo tramonto della riviera di Sottomarina sorseggiando un aperitivo in relax o iniziandosi a caricare con la musica proposta nel preconcerto, a partire dalle 18, dallo staff dei dj del Molocinque, Mistericky e Gianni Coletti.


La stagione “on the beach” dell’Indiga, organizzata da due team collaudati, Gruppo Molocinque e Boscolo Bielo, ha in cartellone un altro appuntamento di rilievo.

Domenica 25 luglio, prevendita online sul sito
www.molocinque.it, spazio all’house, funky, dance ed hip hop con Bob Sinclair, riconosciuto unanimemente il più grande dj al mondo. Virtuoso della consolle e producer, con il suo stile inimitabile presenterà al grande pubblico una selezione musicale all’insegna di nuovi e storici successi. Suoi alcuni dei tormentoni musicali che hanno venduto milioni di copie negli ultimi anni: "Love Generation" e "World, Hold On". Ad affiancare Sinclair, altre due star, Carlos Fauvrelle, leader nella dance elettronica ed il vocalist DJ Gaty.


La gestione inoltre sostiene da sempre iniziative legate divertimento sano ed al “bere consapevole”. All’interno dell’Indiga è presente un corner dove operatori sociali con test e materiale didattico svolgono informazione e prevenzione sui rischi legati al consumo di stupefacenti ed alcool.

Info: MOLOCINQUE
Via dell'elettricità, 8 Marghera (Venezia)
T +39 041 538 4983
F +39 041 538 6740
www.molocinque.it
segreteria@molocinque.it

Ufficio Stampa: Sabino Cirulli, tel. 349 2165175
Mail:
sabinofabiocirulli@yahoo.it

martedì 8 giugno 2010

Tangocamp, y nada mas!


Nella Capitale la prossima settimana,
un grande evento: TANGOCAMP!

La tempesta, il congedo del Bardo


La tempesta fu l'ultimo dramma scritto da Shakespeare, rielaborato in occasione delle nozze di Elisabetta, figlia di Giacomo I, con l'elettore palatino, nozze che sembrarono sancire l'alleanza, poi rivelatasi di breve durata, fra due delle maggiori potenze protestanti emerse dalla guerra di religione, che, come ogni evidenza, stava cercando di imitare una forma per lui nuova, completamente diversa da Giulietta e Romeo o Macbeth o Amleto che sono invece confrontational dramas, essendo questo secondo Masolino D'Amico " un dramma di conclusione o addirittura di celebrazione". Questo genere si è riprodotto nel teatro contemporaneo nella forma del dramma psicologico. Tale testo teatrale è diventato molto rilevante negli anni '70 ed '80, essendo molto legato alle problematiche di fine secolo, trattando rinascita e rinnovamento, fondandosi sul desiderio di perdono in situazioni di vendette senza fine, e evidenziando il tema della conoscenza, del suo accumulo e della possibilità insita di potersene infischiare sbarazzandosene, è come dice Renè Girard " ... una ragnatela al centro della quale Prospero - Shakespeare osserva il processo della propria creazione".

Jubilee, il punk visto da Derek Jarman


Tutta l'energia, la violenza sgradevole, ma mai solleticata e l'impeto anti arte alta che caratterizzò la Pop Art, con la sua serializzazione ed iterazione del prodotto artistico, sostenuta dal punk e l'annessa visione etico - estetica fondata sul disgusto, si fuse in Jubilee, che all'inizio non fu visto come un film politico nel messaggio, ma divenne il manifesto cruciale dell'era punk, sia per le scene molto violente, che lo accostarono al gemello kubrickiano Arancia Meccanica, che per il coinvolgimento di di divi musicali allora a la page ( Jordan , Adam Ant, Wayne County). Essendo il punk un fenomeno inglese trascinato soprattutto dal sound caratteristico dei '70, contrapponendo l'Inghilterra di quegli anni con il periodo più fulgido della sua storia. Per Derek Jarman, l'estetica punk e la sua messa in scena aprirono vie di comparazione alla sessualità che Sebastiane sembrava aver chiuso in un'unica direzione.

giovedì 3 giugno 2010

Haytango


Un portale web dove inserire tutti gli eventi tangueri e diffonderli capillarmente nel web.

Un progetto affascinante e da sfogliare virtualmente nei minimi dettagli.

Imperdibile


martedì 1 giugno 2010

Sebastiane, la passione secondo Jarman... in latino


Con Sebastiane l'entusiasmo delicato camp, e generalizzato mitologicamente e personalmente dei super 8 è rimpiazzato da un'aggressiva immediatezza che è allo stesso tempo istituzionale e socio - politica. E' dunque non tanto un'opera perforata da intellettualismi ( magari fisicizzati nella corporabilità) o percorsa da effimere presenze ( ectoplasmi mentali), quanto un film di confine, certificato sulla soglia che disgiunge due momenti storico - artistici personali, nella scelta di promuovere una carriera nel mondo delle arti tradizionali o innestarsi d'altro canto nel versante della produzione cinematografica di lungometraggi come regista, ossia responsabile a tutto tondo del lavoro. Forse il suo aspetto più innovativo è la conversazione in latino, sebbene sia un latino delle strade, irruente, impudico, appropriato per risse e tafferugli, parlato con un curioso e pesante accento anglosassone, da cui ci si dovrebbe aspettare rimbombi lontani, e in cambio si fonde stranamente, senza referenti esterni, con la negligenza quotidiana e la micromimica dei soldati romani, come se Jarman avesse forgiato uno slang nuovo di una comunità unica, e non cercato di recuperare una lingua estinta da secoli, trascinata solo dalla pratica scolastica. La seduzione della leggendaria Passio S.Sebastiani è stata enorme e, dal Medioevo ai nostri giorni, ha trovato amplissimo impiego, ricorda che alla fine del III sec. una giovane guardia pretoriana, Sebastiano dalla bella capigliatura, caro al cuore di Diocleziano e Massimiano, diede scandalo assistendo i cristiani carcerati e convertendo nobili e magistrati. La pertinacia del martirio, la tracotanza orgogliosa di essere immolato ad ogni costo, la voluttà degli estremi.

venerdì 21 maggio 2010

The Art of Mirrors, i simulacri esoterici di Jarman


Art of Mirrors contiene spunti e simulacri che ricorrono durante l'integrale opera filmica di Derek Jarman: l'esercizio di misteriosi personaggi incappucciati o mascherati che rievocano limitatamente Anger, Cocteau, Bunuel, l'uso di uno specchio che riflette luce nella camera che riprende conferendo un'astrazione materiale, e il fuoco, un motivo derivato dal suo fascino con il simbolismo junghiano, e in più il senso di un nuovo linguaggio forgiato che è fatalmente congiunto con la sua ricerca sull'alchimia, egittologia e cifratura esoterica.

Maya Deren, la musa del cinema underground


Con Meshes of the Afternoon di Maya Deren abbiamo la nascita di un'avanguardia americana molto vicina alla linea di Cocteau, e nella successiva esperienza del suo cinema da camrea integra la danza e l'espressione del corpo. Studierà poi i rituali voodoo ad Haiti e parteciperà alla effimera esperienza di associare per la prima volta i cineasti sperimentali americani, per cui costituirà sempre una musa. Il cinema della Deren nelle sue opere, fa apparire chiaramente il significato di quel cinema dell'angoscia e dell'esperienza, che rompe le convenzioni narrative e gli schemi rappresentativi di derivazione naturalistica per liberare un visionarismo chiaramente surrealista attraverso un itinerario mentale allucinatorio. il processo liberatorio dallo psichismo e il visionarismo da esso prodotto traducono in termini cinematografici uno spazio e un tempo appartenenti ad una realtà altra, diversa da quella fisica.

giovedì 20 maggio 2010

L'occhio di Stan Brakhage


L'opera di Brakhage si muove in una dimensione mitopoietica, tesa alla produzione di una coscienza universale da contrapporre all'alterità della vita divisa, alla degradazione che la società capitalistica opera su ogni espressione autenticamente vitale. il film - maker per Brakhage è un centro di sensibilità attraverso cui le visioni interiori si oggettivano, divengono prodotti sensibili in un flusso in cui la biografia dell'artista è inseparabile dal suo prodotto: ma la biografia dell'artista è la vita stessa che fluisce in un'opera identificata con il mondo. Siamo di fronte a una concezione in cui si fondono il visionarismo della tradizione letterarai anglosassone con la filosofia orientale: il flusso visionario è una pulsione cosmica che si libera attraverso l'artista e si riproduce oggettivandosi sullo schermo. Brakhage desiderava un occhio non limitato da artificiali leggi prospettiche, un occhio non pregiudicato da leggi compositive, un occhio che non risponda al nome di una qualsiasi cosa ma debba conoscere ogni oggetto incontrato nella vita attraverso un'avventura percettiva.

Twice a Man by Markopoulos


Twice a Man di Gregory Markopoulos del 1963 è una delle opere fondamentali di tutto il coinema underground. Ispirato alla leggenda di Ippolito e Fedra, il film è strutturato, grazie a un montaggio eccezionale fondato su inquadrature base, sull'alternarsi continuo di immagini che costituiscono la visualizzazione dell'attività psichico - mentale dei tre protagonisti. il montaggio, annulla ogni rapporto temporale e le immagini, costantemente sdoppiate da superfici riflettenti, travalicano anche l'ordine spaziale fluendo in una dimensione mitica. Lo sdoppiamento delle immagini, assecondato dagli straordinari effetti cromatici che Markopoulos riesce ad ottenere con un impiego perfettamente calibrato del colore, esterna coerentemente lo sdoppiamento della realtà implicito in ogni concezione narcisistica.

giovedì 13 maggio 2010

Kenneth Anger...l'undergroud da Babilonia ad Hollywood


Kenneth Anger fu assieme Ad Andy Warhol il più celebre tra i registi undergrounde dei sixties. Nipote di una costumista di cinema, è presto affascinato da Hollywood di cui celebra le nefandezze nel suo libro Hollywood Babilonia. Il suo primo film importante e pubblico è Fireworks, che interpretato dal regista stesso è una storia semiotica, senza dubbio la prim a trascrizione diretta, nel cinema, dei fantasmi omosessuali sadomasochisti. Jean Cocteau dirà del film che “tocca l’animo nel vivo, il che è cosa rara”. Questo incoraggiamento e la censura che subisce negli USA, lo inducono a stabilirsi a Parigi, dove gira Rabbit’s moon. Tra le sue altre pellicole notevoli Inauguration of the Pleasure Dome, rituale erotico-mitologico al modo di quelli che agli inizi del secolo Alesister Crowley organizzava nella sua abbazia siciliana, e saluta l’inizio dell’era dell’Acquario con Scorpio Rising, lungometraggio girato tra finzione e documentario a Brooklyn in un ambiente di motociclisti. Sulle note delle più popolari canzoni dei’60 segue la lenta e rituale vestizione di un motociclista, tutto in nero, gli stivali adorni di borchie, con catene in vita. La motocicletta è oggetto di adorazione. Scorpione è anche il motociclista, al centro di una sorta di cerimonia sacrale in una chiesa, assieme agli altri componenti di una banda metropolitana. Tutti si scatenano in un’orgia dagli aspetti farseschi, che ha il suo apice nell’unzione con senape del sedere del protagonista. Il motociclista perde il controllo della sua moto e si schianta fuori strada, arriva un’ambulanza, ma non c’è più niente da fare. Scorpio rising riflette, ironizzando sulla cultura di massa, con procedimenti simili a quelli della Pop Art. un clamoroso esempio di innovazione linguistica, che si avvale di un montaggio scandito secondo il beat del jazz sincopato, di una travolgente colonna sonora intessuta di scatenati rock and roll e di una tecnica di ripresa che alterna la fissità pop delle immagini alla loro moltiplicazione e frazionamento temporale spinto fino alla subliminalità. Il risultato complessivo è costituito dall’immediatezza visuale con cui Anger oggettiva attraverso un’emergente tecnica pop l’universo sociale nella sua negatività, un cosmo dominato dai mass media e dalla tecnologia, dagli oggetti splendenti rovesciati in feticci e dai prodotti dell’industri culturale che provocano regressioni selvagge della coscienza.

domenica 11 aprile 2010

TORINO TANGO FESTIVAL, DIECI ANNI DI SUCCESSI





Ricordati di santificare le feste. Non vorrei essere tacciato di blasfemia, ma applicando questo precetto all’evento Pasquale non posso esimermi dal parlare di uno dei più grandi eventi tangueri mondiali: il Torino Tango Festival. Giunto alla sua decima edizione, mi ricordo ancora la prima a Moncalieri, è attualmente ospitato al Lingotto. Un centro che rappresenta la storia industriale italiana, legato com’è alla Fiat, sia dal punto di vista produttivo che artistico, ospita all’interno la Pinacoteca Agnelli. Discutere di tango a Torino vuol dire inevitabilmente parlare di Marcela Guevara e Stefano Giudice. Anche se il ricordo va in maniera doverosa a Pedro Monteleone, personaggio di grande caratura nella storia e cultura tanguera. Anche quest’anno il Festival si è dispiegato in tutta la sua armonica ed impressionante bellezza. Un caleidoscopio di oltre milleduecento partecipanti a serata nel week-end, maestri di livello assoluto, che non esito a definire il top della scena attuale, ed un’onda incredibile che ha portato le serate dalla notte a sfociare nell’alba per interrompersi al mattino quando il crepuscolo ci aveva già abbandonati. Ho vissuto solo tre giorni di questo evento, ma sono bastati a rinforzare ancor più un mio assunto: un grande festival necessariamente deve avere grandi maestri. Non può essere autoreferenziale e nutrirsi soltanto dell’energia generata dal suo pubblico quantunque questo possa avere un grande slancio vitale. Sono rimasto folgorato dalla performance di Sebastian Arce y Mariana Montes. Hanno riempito con la loro densità di ballo, la loro maturità artistica l’intero luogo che chiamare milonga potrebbe suonare riduttivo. Due temi differenti , una milonga di Varela ed un classico da show, Tanguera, per dimostrare come la coreografia può non essere un arido esercizio stilistico, ma la summa di un lavoro complesso che da percorso interiore diviene la cifra esterna su cui misurare il proprio valore. Una sfida che è verso se stessi, ma soprattutto nei confronti di un pubblico, quello italiano ed internazionale, che abbuffato e saturo da molti eventi ed esibizioni è diventato sempre più esigente. Mission accomplished, potremmo dire con una locuzione di tipo militare. La sicurezza quasi sfrontata di Sebastian affiancata da una teatralità e gestualità mai sopra le righe, si sposa con la classe ed il genio femminile di Mariana, che secondo il mio modesto parere attualmente è la più grande ballerina vivente. Vedere l’esibizione su Youtube non riesce a far rivivere quel viaggio assoluto e vorticoso nella bellezza del movimento, nella velocità di un passo che si incastra come una nota musicale in una sinfonia perfetta. Non c’è sbavatura o azzardo. E’ la sicurezza che deriva dalla conoscenza del tango, sia come ballo che come cultura e musica. E Sebastian e Mariana, oltretutto eccellenti insegnanti, ne potrebbero parlare. Ma Torino è stato anche l’omaggio di Miguel Zotto e della sua giovane compagna Daiana alla tradizione tanguera, di Javier e Andrea alla tradizione del Salon, di Erna e Santiago all’interpretazione personale che rende questo ballo unico. Non posso esprimermi sulle altre tre coppie perché purtroppo venerdì non c’ero. Ho scoperto anche il nuovo, ma già mitico, Club Almagro. Il locale di Stefano e Marcela che rapidamente è assurto a milonga di riferimento nel panorama tanguero nazionale, trasudando già le stimmate del 2 x 4. Un sincero ringraziamento a Marcela e Stefano per proporre ogni anno un evento che riconcilia con la grandezza del tango e con la sua magia. Per creare un’atmosfera di cordiale convivialità e leggerezza che mette tutti di buonumore crea un’onda incredibile. Non ho mai sentito Picherna così in forma. Countdown già partito per l’edizione 2011.


DILLINGER E’ MORTO




Può bastare la scena del protagonista che dipinge con colori pop e a pois la pistola on cui a breve ucciderà sua moglie per fare di Dillinger è morto un film unico nella filmografia di Ferreri e nel cinema italiano, che condensa nei silenzi prolungati di Michel Piccoli, e nella sua gestualità rituale vuota ma al contempo ossessiva, un apologo dell’incomunicabilità e della dissoluzione della borghesia al cospetto degli anni’70. L’attore francese interpreta nel film un ingegner di successo che dopo una giornata di lavoro torna nella sua bella casa e scopre una pistola avvolta in un giornale che parla della morte del famoso gangster Dillinger avvenuta a Chicago nel 1934. In contemporanea anche la tv trasmette un film sul tema. Improvvisamente Piccoli inizia a smontare e rimontare la pistola ed a dipingerla. Poi dopo aver fatto l’amore con la domestica e mimato un suicidio davanti allo specchio,entra in camera da letto , copre con un cuscino la moglie sprofondata nel sonno e la uccide sparandole tre colpi. Allo spuntare dell’alba si dirige verso il mare e vede un’imbarcazione scaricare in acqua un cadavere. È il cuoco di bordo di cui ne prenderà subito il posto. Si imbarca verso lidi lontani. Come si può combattere l’alienazione? Contestandola con la lotta politica, o fuggendo verso una realtà primitiva per recuperare la propria dimensione? È evidente in Ferreri che il delitto gratuito e forse fortuito risponde al bisogno primario di scongiurare il pericolo di un’assuefazione alla vita ordinaria. Siamo nei pressi del teatro dell’assurdo, ma voi che soluzione non drastica proponete all’orrore del quotidiano?

IL SELVAGGIO ALCHIMISTA DELLO SGUARDO




Derek Jarman è stato sotto ogni aspetto un profondo shock per il cinema istituzionale britannico, rappresentando l’emblema dell’artista visuale in un repertorio che è, per tradizione, sostanzialmente verbale, accostandosi ad un regista per certi versi simile, Peter Greenaway che ha maledetto il momento “Quando Griffith ha introdotto le tecniche narrative, … perché non ci ha fatto un favore. Tutt’altro. Nel cinema la nozione di letteratura e superflua come quella di verginità per la Madonna.” Derek Jarman si avvicinò tardivamente a questa disciplina nel suo percorso personale di formazione artistica, costellato da numerose tappe segnate da una voracità esplorativa tipica degli artisti d’avanguardia degli anni’60 e ’70, e il suo originario impegno negli home movies, filmini elementari di breve minutaggio girati in super 8 quasi per scherzo e con spirito goliardico, designa non soplo un intimo e domestico approccio al suo lavoro, ma anche la tenace presenza di un significato altro di patria Inghilterra, avulso dalla celebrazione ovvia di un certo ottuso tipo di nazionalismo… Era certamente un prodotto tipico della Bretagna postbellica che si gustò la libertà degli anni’60 e la conseguente distruzione dei secolari tabù sociali, e da questa decade fino alla fine dei propri giorni testimoniò il collasso della sua società, il fallimento del liberalismo e dei valori instabili dell’economia, e naturalmente tutto ciò fu effigiato nei suoi primi film Sebastiane e Jubilee.

FRIGIDAIRE TANGO, DAL VENETO TORNA LA NEW WAVE




La new wave italiana è stata per elezione un movimento toscano, anche se con qualche eccezione geografica. Ha parlato anche veneto con un gruppo che ha pubblicato dopo un ventennio un nuovo ed interessante album: Frigidaire Tango con “L’illusione del volo”. Un progetto che vede la formazione originale avvalersi di grandi collaborazioni, dal guru Federico Fiumani ( Diaframma) a Diego Galeri (Timoria) ed il corregionale Aldo Tagliapietra ( Le Orme). Non c’è operazione nostalgia, che spesso è sinonimo di mollezza di idee e marketing, ma la voglia di rimettersi in gioco, non seguendo le mode, ma riproponendo quell’onesto rock, con echi provenienti direttamente dagli eighties. Ed allora la nostalgia è solo per uno dei periodi più fecondi della musica italiana: Litfiba, Neon, Diaframma, Pankow…Oggi soltanto grotteschi programmi canori in televisione e reality infarciti di pseudo cantanti. Forse siamo davvero scesi in una spirale di declino senza precedenti…

RED CRAYOLA , IL PAROSSISMO DELLA PSICHEDELIA




Psichedelia. Una parola forse in disuso nella contemporaneità, ma che negli anni ’60 ed i primi seventies serviva a racchiudere quella voglia di libertà e di ricerca di mondi differenti che la realtà spesso soffocava. In questo filone, si inserisce uno dei dischi più leggendari di tutta la storia del rock: The parable of arable land dei Red Crayola di Mayo Thompson. Suoni dilatati fino a tangere un parossismo della distensione psichedelica, echi di melodie orientali, tribalismo contaminato da una ricerca elettronica ante litteram. L’album è strutturato come una lunga suite, forma prediletta dai gruppi lisergici dell’epoca ( Grateful Dead…), con brani di grande bellezza inchiodati dall’improvvisazione free che in quegli anni era un atteggiamento di rottura verso l’autorità precostituita, anche in ambito musicale. Il free jazz era il milieu da cui veniva il leader della band che fin dalla prima traccia viene ritmicamente frullato in vibrazioni psichedeliche e metalliche. Un caos primordiale mutaforma che si attorciglia all’ascoltatore. Questo il biglietto per il viaggio verso le porte della percezione, ma dobbiamo piegarci ai flussi sonori…

MC5: IL MURO DEL SUONO ABBATTUTO A DETROIT



Violenti, unici ed elettrici da non poter essere inquadrati in nessun genere. Gli MC5 nel 1969 irrompono nella scena musicale tutta flore e peace & love con “Kick out the jams” un album radicale e di rottura come pochi. Fin dalla title track ed il suo leggendario urlo a squarciagola “Kick out the Jams motherfuckers!!!”, da Detroit parte un assalto sonoro senza uguali. Le chitarre distorte e violente di Wayne Kramer e Fred Smith si sommano alla voce di Tyner per creare un impeto proto punk e metal ante litteram. L’album è un autentico gioiello che in soli otto tracce riscrivono l’impatto della musica rock, che deve essere ribelle e rivoluzionaria. Misconosciuto al grande pubblico, ma seminale e formativo per generazioni di rockers. Ramblin Rose, Rocket reducer, Borderline sono autentici anthem sulla cui struttura si sono costruiti i successi dei trent’anni a venire. E per chiudere questo gioiello, una gemma assoluta: Starship. Autentico viaggio siderale nel solco di Sun Ra fra iperspazi e trip lisergici. Un vortice sonico da cui si viene richiamati dalla voce di Tyner, autentico profeta dell’aldilà. Sono passati oltre quarant’anni da Kick Out the Jams, ma per capire le ragioni rivoluzionarie e trasgressive della musica rock bisogna passare ancora da Detroit.

mercoledì 31 marzo 2010

Tango: l'alma nel Silencio



Come un immaginario palindromo delle sensazioni. L’ultimo cd della Silencio Tango orchestra è un viaggio affascinante e profondo nell’universo musicale del tango, che rilegge ed attualizza con un pathos contemporaneo che non scivola mai nel patetico i grandi classici della tradizione, ma ripropone un approccio fresco e chiavi di lettura innovative nelle composizioni inedite.


Più che una semplice orchestra. Una factory nell’ontologia warholiana del termine, dove i musicisti contribuiscono ognuno con la propria visione a coprire le sfaccettature molteplici del tango. Questo emerge anche dal vivo. Se qualcuno ha avuto la fortuna di ascoltare live Silencio, noterà che oltre alla ballabilità delle esecuzioni, sussiste in ogni elemento, dal bandoneon al violino, al piano, alla voce la volontà quasi ostinata di interagire con il pubblico evocando nei vari brani, le orchestrazioni che hanno reso leggendario questo genere.


Sedici le tracce audio di questo ultimo lavoro, arricchito anche da una bonus track video. Negracha, Malandra, El Andariego i classici che sprigionano un’intensità e profondità senza eguali. Il segnale inequivocabile di una maturità raggiunta dall’orchestra che si legge anche nella scelta di affrontare El recodo, con una orchestrazione disarliana o Triunfal, un’immortale omaggio piazzolliana. Segno di maturità è permettersi anche l’introduzione di uno strumento / suono distante anni luce dall’universo tanguero: il leggendario organo hammond, popolare nella produzione di Brian Auger, Yes, Traffic e del maestro Jimmy Smith. Non è una voglia improvvisa di esotismo, ma un cristallino divertissement per esplorare nuovi territori. Un disco prezioso come già la sua confezione, uno chic digipack cartonato, anticipa.


Nella scarna discografia tanguera contemporanea, che non vuole inseguire facili mode lounge ed elettroniche, “En las almas” è un gioiello da scoprire a più riprese. Capace di liberare lo spirito tanguero in orizzonti vasti, così come annunciato dalla bella immagine in copertina. Non posso dire un punto d’arrivo per i Silencio, perché l’orchestra è sempre pronta a stupirci. Ed immagino che Roger, Dario e gli altri stiano già lavorando per il prossimo , imperdibile come sempre, lavoro.