giovedì 30 giugno 2011

CLOCK DVA, Hacker della coscienza


A metà degli anni’80 irrompe sulla scena underground inglese un gruppo che scuote la coscienza pretecnologica di quella generazione. Il suo nome è Clock DVA, il suo profeta ADI Newton. S eil primo lavoro Thirst, è ancora un tentavio ben riuscito, ma grezzo di inglobare la tecnologia e l’incubo della sperimentazione cibernetica nel punk è con Advantage che nel 1983 si raggiunge la sacralità del capolavoro. Un mondo freddo e robotico, dominato da pulsioni viscerali oscure e sordide, che cala una cappa di gelo esistenziale e fisico sulle figure che popolano il suo universo, i perdenti e i reietti. Ad un tappeto sonoro costellato di fiammate di jazz algido e funky destrutturato si sovrappone la voce del gigantescoe carismatico cantante che squarcia dal profondo delle tenebre lpscurità elettronica. Mi ricordo di aver assistito ad un loro concerto a Padova… un’esperienza mistica. Finalmente un gruppo che ante litteram parlava di scenari ipertecnologici riusciva a destare le coscienze spente del pubblico. Ancora oggi vado alla ricerca del suono ipnotico, ossessivo e digitale di quel terrorista hacker di ADI Newton, ma invano. Quella fantascienza e i suoi incubi che solo un superficiale definirebbe cyberpunk, quando altro non è che la cosceinza dell’uomo europeo attonito ed atterrito nei confronti del nuovo millennio e di un futuro incerto. Pura algebra del male.

I gemelli terribili dell'easy listening


È grazie ai Montefiori Cocktail che in Italia parole ormai scomparse come exotica, easy listening e lounge sono tornate prepotentemente alla riblata. I gemelli Federico e Francesco sono gli indiscussi capofila della lounge & cocktail renaissance in Italia e dal 1997 non mancano di entusiasmare i propri fans ad ogni loro apparizione. Figli di un leggendario sassofonista, Germano Montefiori, mattatore e re dei night, balere ed orchestre, il duo ha inciso sette lp di cui 3 per una major, la EMI. Irresistibili e trascinanti infiammano i dancefloor grazie ad un repertorio che affianca brani originali a cover e riletture di grandi classici anni ’60 e ’70, jingle pubblicitari. Modernariato po –lounge che esige una volta tanto di mettere da parte ideologie e dimpegno e pensare soltanto a divertirsi, per raggiungere la sintonia con la spensieratezza e la freschezza dei ruggenti sixties.

giovedì 16 giugno 2011

Juan Solo, ascesa e caduta di un reietto


Una metafora nera, cruda e senza redenzione della società contemporanea.

“Juan Solo” ci trascina in un Messico violento e polveroso, dove soldati armati e senza nome sparano a vista dopo il coprifuoco. Soprattutto verso un gruppo di ragazzini senza speranza che si arrabattano alla meglio prostituendo il proprio corpo e la propria anima in cambio di un riscatto sociale. Tra questi il protagonista, Juanito, deforme e con una coda di cane, che dopo aver subito l’ennesima angheria, decide di farsi giustizia, e forte di una pistola si pone alla testa di una gangdedita ai più efferati crimini, dallo stupro alla rapina.

Una scalata ai vertici malsani della società, fino a diventare il body guard del primo ministro, ruolo che necessita di un bagno di sangue e di una prova iniziatica: il mssacro di tutta la sua banda. Disegnato secondo un compasso basato sulla violenza e la deformità grottesca, sue cifre stilistiche, Jodorowsky dà vita ad uno dei suoi lavori più riusciti, con un apologo fin troppo palese sull’ambigua relazione fra sesso e potere, e tutte le implicazioni del caso.

Una parabola dannata e paradigmatica di una società dove i reietti da tempo hanno perso ogni speranza di rivalsa sociale, se non a patto di scivolare nell’abisso del male. Anche in questo lavoro è facile subire la fascinazione del fantastico e del grottesco, stati dell’anima ancora prima di essere deviazioni e mutazioni fisiche.

E soprattutto la cruda affermazione di una vita fatta di ascesa e caduta, perché più in alto si sale e maggiore sarà il tonfo nello sfracellare a terra.

mercoledì 15 giugno 2011

Ultravox:sound espressionista e decadente






Dal punk alla new wave, algidi ed elettronici, ma in grado di ipnotizzare e scuotere le coscienze rock degli anni ’80. Gli Ultravox a distanza di un trentennio riescono con Vienna a catapultarci nelle illusorie fughe ed aspettative della società post industriale uscita malconcia dalla ribellione e dalla furia iconoclasta del punk. Come una sciabola la voce di Midge Ure sibila nel silenzio dell’omonima title-track … ed allora per incanto ci destiamo in una mitteleuropa straniante e kafkiana di cui l’alfiere non può che essere il sintetizzatore. Sì, con gli Ultravox nasce il synth-pop cui tanti artisti successivi sono profondamente in debito, a partire dai Depeche Mode. Il virtuosismo degli altri strumenti si adagia sul tappeto sonoro ossessivo ed ipnotico che solo il sintetizzatore riesce a creare, con una sagacia ed una semplicità che perdono quel carattere inafferrabile e cerebrale di alcune composizioni dei Kraftwerk e Tangerine Dream. Espressionista, nel senso più tedesco del termine, è l’aggettivo che può definire il sound unico ed irripetibile degli Ultravox. Espressionista e decadente come solo un gruppo di grandi musicisti europei può essere. Ultravox forever!

Powers: Chi uccide i Super Eroi






Chi ha uccisoRetro Girl? Un tremendo quesito alla base dell’omonimo volume di Powers, lo straordinario fumetto targato Brian Bendis e Michael Oeming. Sono rimasto affascinato da questa saga, che vede due poliziotti della omcidi contrastare criminali dotati di poteri speciali fin dal suo esordio. Le atmosfere noir senza redenzione fanno da sfondo ad una lotta manichea fra normalità e potere extra-umano, un tema ricorrente nella poetica di Bendis che ne farà il plot narrativo per eccellenza dell’ultimo universo marvel. Poliziesco e fantasy mixati alla perfezione con un’esplosione di colori unica. In alcune tavole sembra di scivolare come per magia nell’incanto di Watchmen dove i supereroi sono vulnerabili e possono morire. Certo dalla morte di Superman a quella di Capitan America, ricordando Capitan Marvel, l’estinzione biologica dei superoi non fa che giovare alla narrativa dei comics e soprattutto ci ricorad come la fragilità dell’esistenza abbracci, con le sue spire mortali anche gli “immortali”. Se non invecchiassero o morissero, forse ci avrebbero stufato già da un pezzo!

mercoledì 8 giugno 2011

Cowboy Bebop... caccia al cosmo


Una squadra di cacciatori di taglie in giro per lo spazio. Trama semplice per un manga che sciorina una stratificazione affascinante di diversi livelli di lettura , accompagnato da una colonna sonora incredibilmente bella, tra improvvisazione jazz e bebop, blues.

Se il personaggio principale è Spike, un giovane e ribelle bounty killer, che vaga alla ricerca di criminali rintanati nelle basi spaziali dove si è rifugiata l’umanità, nondimeno le altre figure si riducono a comprimari. Bensì ognuno diviene a suo modo un personaggio a sé stante, a partire da Jet Black, passando per Faye Valentine, Edward ed il cane Eie. A distanza di anni da Capitan Harlock, questo manga riaccende in me, ma credo in tanti, la nostalgia per quell’animazione che poneva al centro di tutto il viaggio, quasi un peregrinare senza meta, se non alla ricerca unicamente di se stessi. Sembra che negli oltre venti episodi di Cowboy Bebop ci si addentri in un percorso iniziatico, misterioso e pieno di insidie quantunque ammiccante.

Tra ammiraglie spaziali e uomini agghindati da cowboys in un futuro ipertecnologico il viaggio cosmico procede all’infinito. Il genio di Shinichiro Watanabe ci regala un meraviglioso girovagare fra epica e sogno, ammaliando bambini ed adulti verso uno stadio dell’età in cui tutti desiderano essere esploratori dell’infinito.

Un manga da godere fino in fondo , e da rivedere immediatamente subito dopo aver finito la visione del ciclo, perché genialmente solo negli episodi conclusivi viene svelato il passato dei protagonisti. Ma avremo capito tutto?