domenica 5 febbraio 2012

Mantova Tango Festival: dieci edizioni da leggenda


A mente lucida e rilassata, dopo aver lasciato decantare l'impatto emozionale dell'ultima ora rifletto sulla edizione 2011 del Mantova Tango Festival che ha tagliato il traguardo dieci candeline. Una soglia importante che sembra da sola accreditare la qualità dell'evento.


Una kermesse che ancora una volta di più ha ribadito che nell'universo tango se si riesce a coniugare una ottima capacitá organizzativa ( Marcello, Maria Elena e staff), un programma di workshop interessante ed un parterre di artisti di alto profilo, si crea una chimica vincente. Quella che riesce a tradurre le emozioni e le attese di ogni tanghero, che da ogni parte del globo sceglie di provare le emozioni di un festival. Ne é passata di acqua sotto i ponti, dai tempi gloriosi del circolo cittadino nel salotto buono della città dei Gonzaga, passando per vari palazzetti e sporting village, approdando finalmente all'ottima location del Palabam con una pista in parquet perfetta nella sua morbidezza e capacitá di assorbire i movimenti e le pressioni degli arti inferiori. Mi ricordo le prime edizioni dove c'era già Mariano Chicho Frumboli, con altre partner e ringrazio gli amici di Mantova per aver tenacemente proposto e creduto fin dai primi anni del duemila nel suo talento straordinario, che allora in un'epoca che pare arcaica, senza facebook, twitter e soprattutto youtube era un privilegio riservato a quei pochi folli che macinavano chilometri in giro per l'Italia ed Europa in giro alla ricerca delle serate con le sue esibizioni.


Altra epoca davvero. Vincere la nostalgia per una edizione, credo quella del 2004 o forse 2005 quando si abbassó definitivamente il sipario sul Circolo Cittadino con una serata d'addio suggellata da una performance di Chicho ed Eugenia che solcarono per l'ultima volta quel vetusto parquet é davvero difficile.


Ma devo affermare che a dicembre si é riproposta quella che io chiamo da sempre l'epifania tanghera, ovvero dello spirito che anima la milonga, un luogo di socialità aperta a tutti, ed a tutte le differenze ( dallo stile di ballo, agli idiomi parlati, alle preferenze musicali) accomunati dalla passione per il tango. Il tutto amplificato dalle dimensioni di questo evento che ha visto nella serata del sabato i numeri straordinari delle mille presenze. Ho parlato con diverse persone che si sono divertite moltissimo, grazie soprattutto ad un clima da pura convivialitá che ha messo tutti a proprio agio, privo di qualsivoglia velleità da competizione, o manie esibizionistiche che spesso relegano alcuni eventi in pura autoreferenzialitá dei partecipanti. Una energia positiva che ha contaminato tutto l'evento sia nel suo momento pomeridiano ( stage + milonga de la tarde) , sia nella noche de milonga.


Grande merito ovviamente ascritto agli organizzatori ed al cast degli artisti. Felix Picherna, il numero uno dei musicalizador, il maestro per eccellenza della consolle, la cui semplice presenza garantisce quel tocco di autenticità da milonga argentina, il bagaglio e la voce storica della tradizione. Ammirarlo mentre riavvolge i suoi nastri, la ritualità quasi ieratica dei suoi movimenti… tutto contribuisce a renderlo una delle ultime icone del tango argentino.


L'orchestra Ensemble Hyperion, una garanzia assoluta, per merito di un repertorio ballabile al 100% e coinvolgente. Una orchestra nel pieno della sua maturità artistica, che con piglio sicuro e deciso esegue alla perfezione i grandi classici, proponendo sempre pezzi nuovi,fedele al suo DNA di orchestra da festival… repetita iuvant, ballabile al 100%.


Tre le coppie di maestri che hanno incantato la platea con performance da brivido.


Il venerdì Adrian Ferreyra e Dana Frigoli, un tango intenso e dinamico, mai uguale a se stesso con grandi variazioni ed una interpretazione struggente di uno dei più bei temi del repertorio di Lidia Borda. Dana riesce ogni volta a stupirmi con la sua plasticità di movimento, eleganza e soprattutto un pathos che trasuda in ogni singolo movimento. Adrian interagisce da par suo con gran classe, mai sopra le righe, rendendo spesso semplici passi e dinamiche che non lo sono affatto. Una chimica speciale fra i due, mix fra esuberanza ed antidivismo. Geniale e grandissimi.


Il Sabato di scena Chicho e Juana, strepitosi come sempre, un feeling speciale con Mantova. Per me il loro capolavoro personale rimane l'esecuzione di un Piazzolla pazzesco, Tristeza de un Doble A. Le note del bandoneon scorrono disegnate sul pavimento da i due artisti, come se la musica fosse generata dalle dinamiche di Chicho e Juana. Roba da rimanere ipnotizzati. Ormai siamo arrivati ad una maturità artistica di coppia che non é diventata maniera, ma creatività che riflette sulla struttura del tango e le sue innumerevoli possibilità. Una tempesta di emozioni. Ogni volta vedere Chicho e Juana rinnova la mia voglia di tango.


E la domenica il gran finale con la coppia inedita di questa edizione. Pablo Inza e Noelia Hurtado sono stati eccezionali. Un tango ricco di sensualità e densità di movimento. Noelia sinuosa ed elegante, con un passo che sembra divorare il pavimento, musicale, con un passo che riempie lo spazio, Pablo etereo e leggero, fluido, dotato di una grazia senza eguali. Una performance carica di magia che ha dato l'arrivederci in un modo splendido al Mantova Tango Festival 2012.


Il countdown é già partito, sebben le note di Buscandote ancora stanno risuonando nella mia mente.

Giorgio Moroder... come back from the eternity


Capita guidando l'auto di essere folgorati da un pezzo che passano in radio di cui avevamo perso completamente tracce nel nostro scrigno di ricordi musicali.Cosi' improvvisamente grazie ad un network padovano, ritorna d'attualità un personaggio il cui peso nella storia della disco music é stato fondamentale, ma oggi é sconosciuto ai più giovani: Giorgio Moroder.


Sono andato a recuperarmi un disco di cui avevo perso le tracce, From here to eternity, e con il senno di poi, avvezzo ad ascoltare molte porcherie che propinano ai giorni nostri per scatenarsi in pista, resto pistivamente colpito dalle sinfonie disco ben costruite dal mago della disco music, nonché mentore di astri del calibro di Donna Summer. Echi di Kraftwerk,musica elettronica ed industriale teutonica, contaminata dai leggendari sintetizzatori dei seventies, suo autentico marchio di fabbrica. Una disco colta, e per certi versi cerebrale, non scevra dall'ascolto di musica colta, quasi barocca nella sua architettura. Un funk robotizzato, ma privo delle trasgressioni nere e dei profondi connotati sociali della black music. In questo lavoro, Moroder, riesce a condensare in poco più di mezz'ora l'avanzata tecnologica dell'era sintetica, liquida ed immateriale con ben trent'anni di anticipo.


Un genio che nonostante l'aspetto freak e simpaticamente zappiamo, nascondeva del vero talento. Invito tutti a fare un giro in qualche negozio di cd, se ne esistono ancora, e recuperare nel cestone delle offerte, i lavori di Moroder, tra cui From here to eternity,… dovremmo riuscire a vincere l'orrore di quella copertina super kitsch.





Roma a mano armata


L'attacco del basso sull'incipit del film é una pura iniezione di adrenalina che tiene incollati sulla poltrona fino alla fine. Roma a Mano Armata esemplifica al meglio la poetica del maestro Umberto Lenzi. L'azione é un mix tra violenza senza redenzione ed una cupa paura che tende al parossismo. Su questo doppio binario corre una trama che di per sé é esile, ma resa irresistibile dalla caratterizzazione di personaggi memorabili.


Su tutti un Tomas Milian da urlo che interpreta un sanguinario e crudele gobbo dedito ai crimini più efferati. L'entrata in scena é da manuale: al mattatoio mentre scarnifica un quarto di bue. Non c'é immagine che possa esemplificare meglio la rappresentazione malefica del cattivo di turno, cui si contrappone il poliziotto buono, che nel cinema di Lenzi spesso sconfina nella violenza. Perché bisogna combattere la criminalità con i suoi stessi metodi e non rintanarsi ed arroccarsi sui cavilli giudiziari e su una legge che tutela tutti tranne i cittadini. Dove per tutti si intende una pletora di delinquenti che spesso la fanno franca. l'antagonista del gobbo é il commissario Tanzi, ovvero un magistrale Maurizio Merli che sfida la violenza ed il crimine a più livelli. Dalla bassa criminalità di ogni giorno ( scippatori, estorsioni, rapine) a quella di un gruppetto di figli di papá annoiati ( aggiungiamo di destra e pariolini). Ma il film di Lenzi é soprattutto il pessimista ritratto di una realtà che non può redimersi, ma va combattuta in ogni modo. Tutti i tentativi di prevenzione e di correzione sono destinati ad infrangersi, perché la natura dell'uomo tende inevitabilmente al male. Ne é la prova la scena girata forse con un pizzico di qualunquismo tra la donna di Tanzi che fa la psicologa ed assolve due piccoli scippatori ed il commissario stesso che se li ritrova asfaltati il giorno dopo a seguito di un tentativo di scippo finito male.


Roma a mano armata é comunque il trionfo di tanti caratteristi di quel cinema anni 70 che hanno reso grandi queste pellicole ( Rassimov, Pigozzi, Catenacci, Omaggio) e di una città livida e violenta. Resta dopo la visione una vampata di energia a riprova che pochi come Lenzi sapevano girare film d'azione così cupi ed angoscianti, e su tutto un Gobbo che si staglia sullo sfondo, la cui fine ci ritempra, momentaneamente da tante crudeltà.


Quanto era affascinante la Roma anni '70, quanto avrei voluto vivere in quegli anni, e gustarmi qualche botta di adrenalina.

giovedì 2 febbraio 2012

Albertone... un borghese piccolo piccolo


Con un Borghese piccolo piccolo la commedia all'italiana entra nei cupi e violenti anni di piombo. Un'epoca di lotte a tutti i livelli, di classe e di politica, dove la violenza diventa l'unica legge, e forse l'unica arma di salvezza.


Da un soggetto di Cerami, Il compianto Mario Monicelli, realizza una pellicola tesa e compiuta come poche, che si regge su un grandissimo Alberto Sordi, che interpreta un oscuro e mediocre travet, che spinto dal fato, diventa un crudele giustiziere, affascinato dalla sua discesa agli inferi. Nessun film secondo me é riuscito a scattare una istantanea di quegli anni perfetta come il capolavoro monicelliano. Grande il cast con un untuoso Romolo Valli sugli scudi, una superba Shelley Winters e la performance di un mai troppo apprezzato Crocitti. La storia é nota: l'impiegato del ministero Sordi fa di tutto per garantire un futuro al figlio, persino affiliarsi ad una loggia massonica, salvo vedere infranti i suoi sogni quando il giorno delle selezioni questi viene ammazzato sotto i suoi occhi. Reazione imprevista e violenta, anziché denunciarlo alla polizia, Sordi , cattura e sequestra il rapinatore, torturandolo fino alla morte.


Un ritratto crudele ed impietoso di un borghese piccolo piccolo, che dimostra come ognuno di noi , messo di fronte alla cruda realtà può divenire un killer efferato. Ingiustamente accusato di essere reazionario, Alberto Sordi, dimostra ancora una volta di essere il più grande degli attori italiani, smentendo i giudizi frettolosi di un Moretti accecato dall'ideologia, lui sí pessimo attore al confronto dell'albertone nazionale, e la sua maschera é il driver che legge le pulsioni e le tensioni di un decennio molto movimentato.