martedì 30 agosto 2011

La follia si annida in un condominio


Uno dei luoghi che più scatenano la follia del genere umano civilizzato ed occidentale, se non europeo. Il condominio. É attorno alle gelosie, alle follie, all'irrazionalità degli abitanti di un grottesco condominio spagnolo che si dipana l'ora e mezza de La Comunidad, un giallo noir folle dell'iberico Alex de la Iglesia. Tutti insieme appassionatamente alla ricerca un bottino che un agente immobiliare trova nascosto nelláppratamento di un defunto, scatenando atmosfere che intrecciano Hitchcock con il più che ovvio da queste lande Almodovar. Claustrofobico ma geniale, sostenuto dalla performance di una grandissima Carmen Maura alterna momenti drammatici con ironia risultando forse il vero ed unico capolavoro di Alex de la Iglesia , regista secondo me sopravvalutato.


Lo specchio della vita, ovvero il Meló nei canoni di Douglas Sirk


Ogni tanto mi capita di imbattermi nei miei tour cinefili nella visione dei grandi meló di Douglas Sirk. Tra questi il mio preferito in assoluto rimane "Lo specchio della vita", un titolo che é davvero la metafora della sua produzione cinematografica e soprattutto evidenzia l'oggetto che più di ogni altro rappresenta la sua cifra stilistica: lo specchio.


La chiave di lettura di quel sottile gioco dei rimandi per cui i personaggi si costruiscono uno spessore per apparire, cercando di nascondere quello che sono realmente. Gli specchi sono i confini di un mondo che opprimono i personaggi, una serie di porte chiuse che delimitano un'arena da cui é impossibile fuggire. Anche per una donna affascinante e di classe, impellicciata ed ingioiellata quale Lana Turner. Sirk firma con una regia di gran classe, il rincorrersi in parallelo dei destini di due donne sole che lottano per migliorare la propria esistenza e quella delle rispettive figlie, formando un atipico nucleo familiare.


Maschilismo, riscatto sociale, arrampicata sociale, razzismo, in questo film Sirk mette a nudo il lato oscuro della società americana, le sue contraddizioni che frenano quello che una volta si chiamava American Dream. Il tutto senza rinunciare al confronto fra passione e sentimento, nel rigore del movimento.


Perché come diceva lo stesso regista: " Qui la cosa principale é la macchina da presa. Perché c'é emozione nel film. Il movimento é emozione, in un modo in cui non può mai accadere in teatro".

venerdì 26 agosto 2011

Jennifer...il vortice della follia


Un misconosciuto eppure geniale noir italiano degli anni'70 con una superba Edwige Fenech.


Essenziale, rapido, con un ritmo da far invidia a ben più blasonate pellicole prende il titolo da un verso del poema Ossian. La trama é un classico di quegli anni: una modella va a vivere con una collega in un condominio dove gli inquilini sono vittime di un maniaco, ed addirittura nell'appartamento dove qualche giorno prima é stata assassinata una mulatta. Il passato torbido ritorna prepotentemente nella vita di Jennifer (Fenech) attraverso un suo vecchio fidanzato a capo di una setta dedita a riti orgiastici. Questi la perseguita con pesanti avance e non si rassegna neanche quando la modella lo rifiuta essendosi innamorata di un altro uomo che, casi della vita, é l'architetto che ha progettato il condominio. Dopo l'omicidio dell'amica e coinquilina di Jennifer, i sospetti cadono prima sul suo vecchio amante, e successivamente sull'architetto ( con la fobia del sangue) ma la realtà sarà ben diversa. Finale improvviso con ricchi colpi di scena.


Psicologicamente il thriller regge il gioco, grazie ad un'ambientazione indovinata, gli spazi claustrofobici dell'appartamento e le penombre create ad arte con i giochi di luci., senza voler trascurare una splendida colonna sonora firmata da Bruno Nicolai, un leit motiv ossessivo ed ipnotico fonte di ispirazione di tanti noir tricolori a venire. Naturalmente non manca un doppio filo conduttore che sotterraneamente, ma neanche troppo dominerà la scena cinematografica del genere: tare psichiche/deviazioni della personalità e sessualità ostentata. Ma su quest'ultimo punto dobbiamo ricordarci che siamo in un decennio, gli anni'70, dominati dalle voglie di liberazione ( sessuale, costumi, istituzioni e convenzioni pubbliche e private) e da una grande violenza ( soprattutto all'esterno). L'introduzione di alcune figure "trasgressive"per la società del tempo, servono anche ad introdurre alcuni luoghi comuni ed una certa retorica piccolo borghese. Il fotografo omosessuale interpretato da Oreste Lionello, presso cui lavorano le due modelle, queste ultime simbolo di una troppo repentina emancipazione dei costumi, sono viste dalla società come corruttrici della morale specialmente dalle persone più anziane. Inoltre il regista inserisce un altro tema che costituirà un filone a parte, ovvero il saffismo con il rapporto ambiguo tra la figlia del violinista e la protagonista.


Giallo godibilissimo che ci fa riflettere su come nel passato con mezzi ridotti si riuscivano a confezionare piccoli capolavori di cui la nostra cinematografia contemporanea ne é ormai priva, asservita alle logiche del politically correct, del cinepattone e dell'impegno sociale radical chic.


Traffic... Nashville alla coca!


La visione corale di Nashville virata nel mondo del narcotraffico. Steven Soderbergh firma con Traffic un affresco grandioso di un'America corrotta, avvinghiata nei suoi miti e nei suoi riti agli stupefacenti ed alle logiche dello spaccio.


Il film si snoda sulle storie in parallelo di vari personaggi, un ottimo Michael Douglas nei panni di un giudice della Corte Suprema che entra nei gironi infernali dove vive sua figlia tossicodipendente, due poliziotti messicani, due agenti della DEA ed una moglie di un gangster ( grande Catherine Zeta Jones). Lo spettatore vaga dal sole di Tijuana alle ville di San Diego, passando per le buie aule del tribunale e delle stanze del potere di Washington. Trait d'union la lotta alla droga che coinvolge tutti, sia in pubblico che in privato, con il saghe dei cartelli che si mischia a quello delle famiglie, e scorre a fiumi.


Finale che per una volta tanto, mette al bando eufemismi e happy ending. Se ne sente ogni tanto il bisogno di film dove si intrecciano multistorie, multipiani narrativi e vite intrecciate.


Un pó troppo lungo, ma si lascia vedere.

Desertshore... anagramma per capolavoro...


La voce algida e mitteleuropea di Nico ha attraversato come una cometa irraggiungibile la scena artistica per un trentennio. Musa di Andy Warhol, modella nei primi '60, voce dei seminali Velvet Underground ed in proprio con splendidi album negli anni'70.


Una donna di una bellezza rigorosa e severa, aliena dalle meschinità quotidiane che ha regalato alcune fra le canzoni più significative della storia del rock, Femme Fatale, All Tomorrow's parties… Desertshore, del 1970 é la prova di maturità della cantante che accompagnata dal genio di John Cale, dá libero sfogo a tutte le sue pulsioni, nevrosi ed angosce esistenziali. Il brano di apertura, Janitor of Lunacy é una litania ipnotica e messianica che scava in profondità nei recessi più nascosti dell'animo di Nico, mentre My only child sembra fuoriuscire dai repertori della musica d'avanguardia della seconda metá del XX secolo. Siamo nei territori di Meredith Monk, Joan La Barbara, musica cameristica disegnata dalla canto a cappella.


Un lavoro, Desertshore, che mette i brividi, come se le musiche , le parole, il respiro, provenissero davvero dall'inconscio o da un'altra dimensione. Un incrocio fra musiche occidentali e sonorità orientaleggianti precursore con vent'anni di anticipo di tanta new age o world music di fine millennio. Nel deserto dei sentimenti e delle passioni una oasi di salvezza dove riconciliarsi con l'esistenza attraverso la musica, provando un sottile piacere crogiolandosi in una algida malinconia.


Desertshore, anagramma per capolavoro.


Da Aristotele a Spielberg, interdisciplinare viaggio di Julio Cabrera


Julio Cabrera, professore di Filosofia Contemporanea all'Università di Brasilia, ci offre con "Da Aristotele a Spielberg" edito da Mondadori un interessante excursus tra le innumerevoli intersezioni tra il mondo dell'immagine e quello della riflessione filosofica, due universi con straordinari punti di tangenza.


L'autore sostiene la tesi secondo cui il cinema, senza distinzioni di generi, di autori, di stile, può essere valutato una forma di pensiero e riflessione filosofica, in cui l'emotività gioca sempre un ruolo decisivo. Anche in quelle pellicole che per antonomasia sono definite "intellettuali" come Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni o il Godard di Detective. Lungi dall'imporre le categorie estetiche del bello e del brutto e di classificare i film in base a facili gabbie concettuali, Cabrera ci suggerisce un approccio inedito.


Ogni grande pensatore ha avuto un ruolo determinante sui registi e sulle pellicole e molti sono gli autori filosofici. E gli esempi non mancano. Dal Cacciatore di Michael Cimino con spunti platonici a Hegel che si manifesta nel Wenders di Paris Texas, perfino l'impegnato Sartre fa capolino in Thelma e Louise. Per non parlare di Bunuel, Tarantino e Frank Capra, filosofi più che registi.

giovedì 25 agosto 2011

Mediterranean Summer Tango Festival, ...love parade tanguera in Croazia


I'm yours. Il brano di Jason Mraz, scelto dai ballerini argentini per il ballo collettivo, mi ossessiona la mente mentre scrivo queste impressioni sulla seconda edizione del Mediterranean Summer Tango Festival.


A Porec si é rinnovata la magia di una kermesse che coniuga il fascino del tango, la sua irresistibile seduzione che intreccia musica e movimento, con la pura energia dello spirito rock. Come se qualcuno cercasse di organizzare una Woodstock tanguera, o per restare ai giorni nostri una Love Parade al 2x4. CI vuole la geniale follia creativa ed il talento di Zrinko & Tajana e del loro magico staff per fare del MSTF un appuntamento incredibile. Un happening tanguero dove le performance degli artisti, tutti giovani e straordinari, si alternano con un programma di milonghe serali e pomeridiane, momenti di svago e dulcis in fundo la magica gita nel blu dell'Adriatico, il Boat Trip che per tutto un pomeriggio libera la voglia di divertirsi del pubblico internazionale che raggiunge Porec.


Complice l'estate ed una irripetibile alchimia tra artisti, staff e pubblico, in questa meravigliosa località della Croazia assisto all'epifania dello spirito tanghero. Quello libero da ogni compromesso, da ogni dogma, da ogni preconcetto verso l'altro, dove la voglia di ballare, solo questa, ha il sopravvento sullo snobismo di chi ritiene sempre di essere superiore agli altri e detenere la verità tanghera. Gli innumerevoli album di fotografie che hanno affollato Facebook e Flickr hanno come unico comune denominatore il sorriso e lo sguardo sereno di chi ha partecipato a questa manifestazione. Consapevole di poter condividere le emozioni del tango attraverso il linguaggio universale del corpo, che si muove al ritmo ed al compas delle grandi orchestre.


Quando penso a tanti eventi ingessati e rigidi, ho il conforto di un festival dove i maestri si integrano con il pubblico scherzando e trascorrendo i momenti della giornata, dai bagni in piscina alle cene nel pantagruelico buffet del Valamar. La location delle milonghe pomeridiane, non poteva che essere una pista a bordo piscina, mentre quelle serali un moderno e condizionato palazzotto dello sport, arredato come un vero e proprio Lido attrezzato. Zrinko & Tajana infatti hanno disseminato ai bordi del parquet, oltre ai consueti tavoli e sedie anche ombrelloni e sdraio, il tutto a rendere più giocoso e festoso il MSTF. Come detto in precedenza anche i maestri hanno contribuito a dare un clima speciale a Porec. Forse perché giovani ed inconsciamente proponessi a prendersi poco sul serio hanno davvero regalato un pieno di emozioni a tutto il pubblico. Fernando y Ariadna, straordinari nel loro talento e purezza cristallina di movimento, Rodrigo ed Agustina che interpretano un tango salon ritmico ai massimi livelli, con eleganza e compas, Bruno e Mariangeles… la loro grande empatia con il pubblico, uno stile assolutamente unico che li rende per questo eccezionali, Martin e Maurizio che hanno offerto con la loro istrionica performance una zampa da brividi che ha tirato giù scroscianti applausi.


E poi The Boat Trip, entrato ormai nella leggenda. Niente tango ma solo un viaggio attraverso la musica dance degli ultimi 30 anni per accompagnare un viaggio nel Mediterraneo da Porec a Rovigno, andata e ritorno. E come intermezzo, il tuffo a metá viaggio dalla barca per contrastare la calda estate croata.


Ho la nostalgia che già mi attanaglia, consapevole che dovrò aspettare un altro anno per rivivere queste magiche atmosfere. Ma basta pensare al MSTF per sentire ribollire nelle vene il feeling con il pubblico. Una moltitudine di giovani dalla Croazia, da Belgrado, da tutta l'Europa e da ogni angolo più remoto del globo con la voglia di consumare il pavimento fino all'alba. E realizzare con il sole già alto, alle sette del mattino, che la passione del tango non stanca mai.


Non stanca soprattutto Zrinko & Tajana che sono sicuro già stanno lavorando per stupirci nell'estate del 2012!


Porec, l'epifania del sogno tanghero.

Marcelo Rojas: l'anima del tango si diffonde per il mondo


Ascoltare le selezioni di Marcelo Rojas, la sua voce profonda con l’accento tipicamente porteno annunciare l’orchestra della tanda seguente, vuol dire davvero tuffarsi nell’atmosfera del tango più puro.

Il suo modo di condurre una serata è davvero impeccabile, liturgico, con la stessa solennità di una messa di mezzogiorno in una festività. Ringrazio il Roma Tango Meeting per avermi offerto la possibilità di gustarmi in pieno le Sue scelte musicali. Tutto filava alla perfezione come un orologio svizzero: classici affiancano orchestre e versioni meno frequentate, ma si capisce lontano un miglio che siamo nel campo di un grandissimo talento che non fa ricerca ma che ha il punto di forza in una spontaneità che solo Lui riesce a mostrare. Qualcuno potrebbe obiettare che è ovviamente a causa della grande esperienza in consolle oltre che le frequentazioni radiofoniche, eppure conosco anche io musicalizador che accumulano serate su serate senza ottenere lo stesso effetto.

Osservando la gestualità ed ascoltando la comunicazione di Marcelo, comprendo anche quanto sia ridicolo il solo pensare di poter scimmiottare un signore della consolle di questo livello. Basta solo la pronuncia del nome dell’orchestra a smentire quanti vogliono con cadenze improbabili ricreare le stesse atmosfere delle milonghe di Buenos Aires. Inoltre in Marcelo è unica la capacità di gestire il ritmo della pista. Quel battito straordinario che accomuna tutte i tangueros presenti in milonga accomunandoli in unico corpo in movimento. Impossibile davvero star fermi. L’ho provato sulla mia pelle. Dal Troilo strumentale a quello con Marino, dal D’Arienzo / Maure al D’Arienzo / Echague ogni sequenza suonata pare essere un postulato, ovvero il momento ideale all’interno dell’economia di una serata non può che essere quello scelto da Marcelo.

La grandezza di Marcelo? Sono le sue selezioni a parlare per Lui, in ultima sintesi la musica, ovvero la magia del tango.

I fiumi di porpora


Il regista francese non é più riuscito a raggiungere i livelli qualitativi del suo folgorante esordio, "L'Odio". Ogni volta mi sono illuso che potesse toccare nuovamente quelle vette. Per carità la regia é sempre dignitosa, ma manca quella voglia di osare e rompere le convenzioni, essere volutamente sgradevole che ha caratterizzato quella storica pellicola che ha registrato il debutto tra l'altro di uno strepitoso Vincent Cassel nei panni di un piccolo criminale ebreo. "I fiumi di porpora"sono un onesto thriller che si reggono sul buon mestiere del regista, su una storia interessante e su un gigionesco Jean Reno, il miglior attore transalpino contemporaneo, altro che il pompato, in tutti i sensi, Gerard Depardieu. Kassovitz costruisce una prima parte avvincente quando si punta sul mistero, ma purtroppo il lo svolgimento ed il banale finale riesce a compromettere tutto. Insopportabile il grottesco ed ovvio confronto generazionale fra i due poliziotti che dovrebbe creare tensione ed invece finisce per essere involontariamente ridicolo. Quando si dice , molto meglio il romanzo… ed allora recuperiamolo in libreria il lavoro omonimo di Jean Grangé.

Leggendario Road Movie al femminile: Butterfly Kiss


Quando
si pensa al cinema arrabbiato, inevitabilmente si attracca dalle parti della
perfida Albione. Eunice,una assassina sadomaso psicopatica attraversa
l'Inghilterra in lungo e in largo facendo fuori cassiere e benzinaie nei più
squallidi distributori. Dopo aver chiesto di comprare un disco di canzoni
d'amore e domandato alla vittima di turno se si chiama Judith, puntualmente la
finisce massacrando senza pietà il cranio con il primo corpo contundente a
portata di mano. Il rituale, grottesco ed insensato, viene reiterato per un
numero imprecisato di volte, fino a quando non si imbatte in una vittima,
Miriam, che soggioga psicologicamente e con cui instaura una relazione lesbica.
Le due proseguono nel loro folle viaggio omicida fino a quando Eunice non
chiede di darle la prova suprema del proprio amore, ovvero ucciderla. Una
storia nerissima questa di Butterfly Kiss con cui il regista Michael
Winterbottom disegna una sorta di Thelma & Louise portata all'estremo dove
tutti i luoghi della perdizione si liquefanno nel non luogo per eccellenza, la
strada, dove si muovono come due oscure giullari portatrici di morte le
protagoniste. Dal film traspare un'aria gelida dovuta forse al fatto che non
emerge una condanna lampante dei gessi, né da parte della società, né dalle
altre figure incontrate lungo il cammino. Winterbottom ha uno sguardo quasi da
entomologo che al microscopio osserva e studia, senza dare giudizi di merito, i
comportamenti degli insetti o di altri animali "naturalmente
assassini". Altro particolare inquietante, la mancanza di una
giustificazione sulle azioni: non ci sono traumi infantili o shock del passato
che ritornano, le uniche tracce sono dei segni di sofferenze corporali sul
corpo di Eunice ( piercing, tatuaggi, cicatrici). Un film sul delirio
sadomasochista, in questo risiede il fascino di Butterfly Kiss. I deliri da
vittima sacrificale di Eunice si riversano oltre che sul proprio corpo su
Miriam, costringendo la compagna a svolgere una serie si azioni amorali ed
efferate. La complicità sessuale tra le due donne é assolutamente priva di ogni
calore e serve ad alternare gli scambi di posizione tra carnefice e vittima, padrone
e sottomessa. Un film duro e spietato che non offre autocompiacimento allo
spettatore e che comunica come spesso il male lo si ha come dote "di
natura".

martedì 23 agosto 2011

Luigi Felisatti, James Bond in consolle


Un signore in consolle, che regala perle musicali durante le sue selezioni.


Luigi Felisatti é in primis un grandissimo conoscitore e collezionista di tanghi. Conversare con lui, vuol dire scoprire i segreti delle orchestre storiche, ma anche di quelle "minori", addentrarsi nei segreti di Osvaldo Pugliese come di Carlos Di Sarli.


Ma non siamo nel campo del nozionismo fine a se stesso. Né del piglio di chi tratta il pubblico come un gregge da essere istruito o da trattare con superiorità. Quanti frequentatori di milonghe e quanti neo dj devono essere grati a Luigi Felisatti, soprattutto alla sua generosità, ed alla sua intelligenza che non teme di rivelare i titoli e la paternità di tanghi affascinanti e magari poco frequentati, sapientemente suonati , in maniera parca, come perle che si devono dosare, e non affastellare come un campionario vuoto ed illogico di chicche da sciorinare per dimostrare agli altri il possesso di una collezione unica, piena di introvabili. Ma ha senso parlare di pezzi introvabili nell'era del web, del file sharing, di emule? Piuttosto si potrebbe parlare di cd introvabili, o meglio di vinili che Luigi detiene, custoditi come un grande vino d'annata, evocando in chi come me ha profonda invidia nel non annoverare nella propria discografia alcuni originali cd della serie Disco Latina.


Trovo semplicemente straordinario in Luigi la costruzione con un climax pieno di pathos delle tande di autori quali Osvaldo Pugliese, Alfredo Gobbi, o il favoloso Anibal Troilo con Alberto Marino. Ricordo chiacchierate sul Sexteto di Di Sarli nel lontano 2000 - 2001, o sull'ultimo D'Arienzo. Devo molto a Luigi, al suo essere un classico al di lá delle mode, precursore in Italia di grandi orchestre contemporanee in anticipo sui tempi. Ho ascoltato infatti nelle sue selezioni per la prima volta nomi del calibro di Fernandez Fierro ed Escuela di Tango con Emilio Balcarce. Consiglio a tutti di ascoltare e di ballare sulle musiche scelte da Luigi Felisatti, sempre diverse di serata in serata, ma all'insegna di una grande classe.


Si dice spesso che il dj é fondamentale nell'economia di una milonga. E nel caso di Luigi mai tale frase é così appropriata.

Killing Zoe, Manierismo tarantiniano


La droga come sintesi di tutti i rapporti umani, dal sesso all'amicizia, dall'azione alla riflessione.


Roger Avary, già sceneggiatore di Pulp Fiction ed amico d'adolescenza di Sir Quentin, firma con Killing Zoe, un omaggio in puro stile tarantiniano al cinema di genere americano ed ai b-movies degli anni'70. Certo, non ha le grandi soluzioni narrative ed i dialoghi strepitosi del film cult di zio Quentin vincitore della Palma d'Oro a Cannes nel 1992, ma le buone idee non mancano. Ed oggi che abbiamo finalmente digerito l'impatto storico dell'irruzione di Tarantino nella scena cinematografica mondiale possiamo dare un giudizio più freddo e distaccato su Killing Zoe.


Un buon film. Con una buona suspense, forse cercata a tutti i costi, ma di un certo impatto. Il protagonista Zed, arrivato via pacco aereo da Los Angeles a Parigi, ricorda tanto metaforicamente la discesa di Pulp Fiction a Cannes, cerca il suo storico amico d'infanzia Eric , ma si lascia subito tentare da una avventura con una prostituta, Zoe. Avventura interrotta bruscamente dall'entrata in scena del suo vecchio compagno nella stanza d'albergo. Una mossa che scatena una odissea notturna tutto sballo, droghe ed alcool con l'improbabile idea di rapinare una banca. La sgangherata batteria di criminali improvvisati si maschera e irrompe nell'unico istituto di credito aperto il 14 luglio. Un progetto maldestro, così come sciagurata ed avventata la decisione di uccidere quattro persone dentro la banca. Tra i presenti anche Zoe, mignotta di notte, bancaria di giorno che sta per essere uccisa da Eric, ma liberatasi fugge con Zed nei sotterranei. Grand guignol finale con Eric che viene fatto fuori dalla polizia e Zoe e Zed che convincono tutti di essere dei semplici clienti e riescono dunque a fuggire in placida tranquillità.


Cosa resta dopo questi 90 e passa minuti al fulmicotone? Questa banda scalcagnata che non si preoccupa neanche di prendere mezza misura di precauzione prima della rapina, o i primi piani di tutti i rapinatori iper eccitati , e vogliosi di scatenare l'inferno sapendo bene che vi sprofonderanno presto dentro? Forse niente, nemmeno una barzelletta alla Quentin!

Il fascino "nero"di Murano


Non ricordo di aver mai visto un film girato quasi per intero a Murano, o perlomeno che trascuri l'agiografico rapporto di questa isola veneziana con il vetro. L'eccezione é "Solamente nero" di Antonio Bido scoperto in una sonnacchiosa alba di questa estate.


Una vera rivelazione, ma forse la presenza di uno dei migliori e sottovalutati attori degli anni'70, Lino Capolicchio, avrebbe dovuto destare in me qualche sospetto. Un thriller a basso costo come tanti che hanno costellato una delle pagine più felici della nostra produzione cinematografica sebbene la risonanza sia rimasta all'interno di un club di pochi cinefili. La storia vede un giovane professore di matematica , Stefano, il già citato Capolicchio, tornare in laguna per riposarsi dopo un affaticamento dovuto ad un periodo di intenso lavoro. Ad aspettarlo suo fratello maggiore, sacerdote nell'isola di Murano, che la sera stessa assiste dalla finestra della canonica all'omicidio di una donna senza riconoscere il volto del killer. Fin dal giorno seguente viene perseguitato da una serie di lettere minatorie che preludono ad una spirale di omicidi. Stefano cercherà con l'aiuto di suo fratello e di una giovane donna di cui si é innamorato di risolvere la catena dei delitti, ma la realtà é più atroce della fantasia.


Superbo il fascino della fotografia di una Venezia e di una laguna, gelida e spettrale, dove il sole non fa mai la propria comparsa che rispecchia l'incomunicabilità ed il sordido che si cela nella piccola comunità isolana dove si svolgono le azioni dei protagonisti, sia che ci si trovi nelle infime osterie con i bisunti tavolacci di legno che nei ricchi palazzi nobiliari. E la Serenissima é davvero un set ideale e naturale per il teatrino paranormale fatto di sedute spiritiche e pseudo maledizioni che si trascinano dal passato e sembrano vogliano affondare i personaggi che si muovono nel presente.


L'ottima performance dei due protagonisti, Capolicchio un credibile professore tormentato dalle angosce di un omicidio di una ragazza cui aveva assistito da piccolo ed una Stefania Casini, arredatrice sensuale dotata di fascino magnetico e i comprimari ben caratterizzati, oltre ad un finale interessante, rendono questo film un piccolo capolavoro, di quelli che mancano ormai da troppi anni nel nostro cinema. Che rimpianto per i gloriosi e torbidi anni'70.


lunedì 22 agosto 2011

Mauro Berardi, il feeling con la pista


Ritengo la lettura della pista, le evoluzioni del pubblico in movimento e le sue dinamiche uno dei fattori determinanti nel valutare le qualità di un musicalizador ( discorso valido anche per i DJ in genere).


É questo indubbio il plus di Mauro Berardi rispetto a tanti altri colleghi. Leggere rapidamente, interpretare, anticipare ed assecondare i desideri dei tangueros. La capacitá, quasi telepatica, di intuire che quello é il momento ad hoc per una tanda di Lomuto, oppure che é arrivata l'occasione per sciorinare un Di Sarli strumentale da brivido. In più, una grande modestia e discrezione che integra perfettamente la consolle al mood della serata.


Quello che in una sola parola si definisce feeling.


Mauro rapidamente é asceso ai vertici dell'arte di musicalizar, non solo in Italia, ma anche in Europa ( e non é un caso che sia conteso dagli eventi più significativi nel panorama tanghero internazionale). Una escalation dovuta ad un duro lavoro, fatto di ore di ascolto e di ore di selezioni in milonga. Ma ritengo anche in virtù di un grande talento ed orecchio musicale. Se bastasse la mera applicazione e la sterile compilazione si sfornerebbero dj come in catene di montaggio, anzi dopo la figura del masterizador avremmo anche il dj taroccato in stile cinese.


Ho ascoltato Mauro con attenzione durante l'ultima edizione del Siracusa International Tango Festival ed al Venezia Tango festival : tande impeccabili, in grado di scatenare anche poliomielitici. La sua grande collezione inoltre non ha intaccato una visione rispettosa del pubblico, senza la voglia di strafare tipica di alcuni che desiderano stupire con effetti speciali e le cosiddette versioni introvabili. Curiosamente anche fra i musicalizador c'é chi si ostina ad andare alla ricerca del Santo Graal. Uno dei tarli del tango, al pari di quelli che pensano di detenere il vero tango, oppure con rigore talebano, cercano di ghettizzare le milonghe, escludendo alcune fette di pubblico.


Credo che fino a quando in consolle ci saranno musicalizador del calibro di Mauro Berardi in milonga si potrà garantire in anticipo una serata all'insegna del divertimento e del buon tango, in grado di accontentare il pubblico più diversificato possibile, dagli amanti di Donato agli aficionados di Caló, passando per Pugliese e Canaro.


Un pubblico che condivide una passione sola, il tango appunto, quella stessa folle e irrefrenabile passione che muove la voglia di musicalizar del grande dj romano, il gladiatore Mauro.

Il Giardino delle Vergini Suicide...ma l'adolescenza é davvero la piú bella stagione della vita?


La tragedia dietro il perbenismo e la quiete familiare.


L'esordio di Sofia Coppola, figlia d'arte, é folgorante. Un gioiello per levitá di immagine, grazia nella fotografia e movimenti di macchina, recitazione impeccabile.


In poco più di 90 minuti si snoda la saga delle cinque sorelle Lisbon, espressione della tipica midolle class americana bianca, angeliche e nel contempo misteriose, protagoniste di un mondo dorato dove ogni desiderio ed ogni azione in realtà si sublima in una fagocitante ed ipocrita idea di famiglia. Dove domina sopra ogni cosa l'apparenza. Ritengo il grande merito della regista l'aver narrato questa storia crudele ed amarissima con un tono quasi soprannaturale confinando ogni azione in una dimensione onirica, e su questo punto affascinante é la colonna sonora del duo di musica elettronica transalpina Air.


La bellezza salverà il mondo diceva qualcuno, ma ci aggiungerei non forse chi porta addosso la bellezza! Il cast degli attori é a dir poco straordinario, dagli adulti James Woods, Danny De Vito, Kathleen Turner alle adolescenti Kirsten Dunst , Chelsea Swain e Josh Hartnett. Spesso i film tratti da romanzi riusciti e di successo, come nel caso dell'omonimo lavoro di Jeffrey Eugenides, sono dei bluff, ma in questo caso, posso tranquillamente affermare il contrario.


E comunque, siamo convinti che la romantica adolescenza sia la più bella stagione della vita?

Edipico e poco erotico, Spasmo


Una trama contorta che obbliga forse a piu'di una visione, ma sicuramente una pellicola ricca di fascino e per l'epoca sicuramente non banale e ricca di soluzioni narrative inedite.

Le tare mentali e le derive sociopatiche della personalità sono una condanna da cui non si sfugge.


In sintesi, questo il messaggio di Spasmo, uno dei lavori cosiddetti "minori"di Umberto Lenzi.


Un noir atipico, che a differenza di tanti prodotti coevi esula dal facile esibizionismo di omicidi in serie e scene truculente, per mettere a prova lo spettatore con una tensione derivante dal non detto. Il mistero é appunto ciò che non si rivela, ma di cui si avverte la presenza, ingombrante ed opprimente. Trovo assolutamente geniale il finale che coglie assolutamente di sorpresa e rivela un ambiguo rapporto fraterno che ha scatenato una spirale di omicidi ed ha disseminato la storia di un proliferare di manichini femminili orrendamente mutilati ed orrendamente simili, forse troppo, a reali fanciulle.


I due protagonisti, Robert Hoffmann e Suzy Kendall, sprizzano morbosità da tutti i pori, anche se la loro performance non é memorabile, meglio sicuramente la prova di Ivan Rassimov, uno dei grandi caratteristi del nostro cinema di genere anni'70 ( memorabile il suo viscido Tony in Roma Violenta).


Edipico e stranamente poco erotico, per gli amanti delle atmosfere e dei simboli baviani ( bambole ed uccelli impagliati ) e delle colonne sonore di Morricone, comunque resta un film imperdibile.