domenica 7 novembre 2010

Viveree morire a Los Angeles


Uno dei capolavori di William Friedkin che per cinismo, sguardo disincantato verso la realtà, commistione perversa fra bene e male fa impallidire persino “Il Braccio violento della legge”. Siamo nei dorati anni ottanta , ma la Los Angeles assoluta protagonista di “Vivere e morire in L.A.” è una città sudicia nell’anima, corrotta dove anche le forze della polizia si muovono al di fuori della legalità pur di affermare la propria legge. Ed allora il duello manicheo fra il falsario Willem Dafoe, qui ai massimi della sua arte, ed il poliziotto William Petersen, futura stella del serial C.S.I. perde la sua rigidità ontologica fino sconfinare nella sadica e cieca caccia all’uomo che vede il tutore dell’ordine perdere ogni moralità e remora pur di catturare la sua preda. Siamo forse dalle parti dell’Infernale Quinlan, ma la violenza e la crudeltà sono inedite. Petersen crea prove, commette atti fuori dalla legalità, ma alla fine perde la vita in una trappola creata da se stesso per incastrare il falsario. I lati oscuri della natura umana sono portati alla luce del sole, dallo stile crudo, iperrealistico di Friedkin che chiude questa amara parabola con un finale senza l’hollywoodiano happy ending. Iniziano già le tensioni e le disillusioni degli anni del riflusso, un presagio in anticipo dell’armageddon di fine millennio.

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