domenica 11 aprile 2010

DILLINGER E’ MORTO




Può bastare la scena del protagonista che dipinge con colori pop e a pois la pistola on cui a breve ucciderà sua moglie per fare di Dillinger è morto un film unico nella filmografia di Ferreri e nel cinema italiano, che condensa nei silenzi prolungati di Michel Piccoli, e nella sua gestualità rituale vuota ma al contempo ossessiva, un apologo dell’incomunicabilità e della dissoluzione della borghesia al cospetto degli anni’70. L’attore francese interpreta nel film un ingegner di successo che dopo una giornata di lavoro torna nella sua bella casa e scopre una pistola avvolta in un giornale che parla della morte del famoso gangster Dillinger avvenuta a Chicago nel 1934. In contemporanea anche la tv trasmette un film sul tema. Improvvisamente Piccoli inizia a smontare e rimontare la pistola ed a dipingerla. Poi dopo aver fatto l’amore con la domestica e mimato un suicidio davanti allo specchio,entra in camera da letto , copre con un cuscino la moglie sprofondata nel sonno e la uccide sparandole tre colpi. Allo spuntare dell’alba si dirige verso il mare e vede un’imbarcazione scaricare in acqua un cadavere. È il cuoco di bordo di cui ne prenderà subito il posto. Si imbarca verso lidi lontani. Come si può combattere l’alienazione? Contestandola con la lotta politica, o fuggendo verso una realtà primitiva per recuperare la propria dimensione? È evidente in Ferreri che il delitto gratuito e forse fortuito risponde al bisogno primario di scongiurare il pericolo di un’assuefazione alla vita ordinaria. Siamo nei pressi del teatro dell’assurdo, ma voi che soluzione non drastica proponete all’orrore del quotidiano?

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