domenica 11 aprile 2010

IL SELVAGGIO ALCHIMISTA DELLO SGUARDO




Derek Jarman è stato sotto ogni aspetto un profondo shock per il cinema istituzionale britannico, rappresentando l’emblema dell’artista visuale in un repertorio che è, per tradizione, sostanzialmente verbale, accostandosi ad un regista per certi versi simile, Peter Greenaway che ha maledetto il momento “Quando Griffith ha introdotto le tecniche narrative, … perché non ci ha fatto un favore. Tutt’altro. Nel cinema la nozione di letteratura e superflua come quella di verginità per la Madonna.” Derek Jarman si avvicinò tardivamente a questa disciplina nel suo percorso personale di formazione artistica, costellato da numerose tappe segnate da una voracità esplorativa tipica degli artisti d’avanguardia degli anni’60 e ’70, e il suo originario impegno negli home movies, filmini elementari di breve minutaggio girati in super 8 quasi per scherzo e con spirito goliardico, designa non soplo un intimo e domestico approccio al suo lavoro, ma anche la tenace presenza di un significato altro di patria Inghilterra, avulso dalla celebrazione ovvia di un certo ottuso tipo di nazionalismo… Era certamente un prodotto tipico della Bretagna postbellica che si gustò la libertà degli anni’60 e la conseguente distruzione dei secolari tabù sociali, e da questa decade fino alla fine dei propri giorni testimoniò il collasso della sua società, il fallimento del liberalismo e dei valori instabili dell’economia, e naturalmente tutto ciò fu effigiato nei suoi primi film Sebastiane e Jubilee.

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