domenica 11 marzo 2012

La seduzione del colore nel cinema, praticamente infinita


Molti autori si sono cimentati nel secolo scorso nel rapporto tra cinema e pittura, sfruttando le qualità pittoriche della pellicola in bianco e nero per animare in tableaux vivants famose opere d'arte negli anni'70, durante lo sviluppo economico e le grandi battaglie per i diritti civili, la riflessione sul reale e la notificazione della fallacia delle immagini colorate e patinate, generate dalla società consumistica ed edonistica, fu un segnale che suggestionó anche il cinema americano, marchiato da una rappresentazione iperrealistica e nostalgica. In questi stessi anni, alcuni cineasti, divergenti fra di loro iniziarono decisamente ad interessarsi alla sperimentazione cromatica, spinti dalle ricerche condotte in ambito pittorico. Tra i più celebri per il loo impegno in questo dominio, basti pensare a Michelangelo Antonioni ( Deserto rosso, Il mistero di Oberwald), Jean Luc Godard ( Il disprezzo), Eric Rohmer ( L'amico della mia amica), che soddisfecero una funzione da apripista per una nuova utilizzazione del fattore cromatico, modificando in ultima analisi la loro filosofia del vedere, disgiungendosi in maniera netta sia da un certo tipo di cinema commerciale, che da un particolare cinema indipendente ed underground, e vincolati alla pittura in un certo mdo, influenzarono la generazione successiva dei Greenaway, Kieslowski… In particolare Antonioni personifica l'anello di congiunzione fra il colore cinematografico ed il video colore; effettivamente egli desiderava ricreare anche con l'ausilio del cromatismo, uno spaizo tempo emancipato dalla riproduzione oggettiva della realtà, così per esempio in Deserto rosso, per riprodurre il mndo psicologico della protagonista, Antonioni dipinse testualmente muri, alberi, cose. Un colore protagonista, che mutava incessantemente, spettacolo nello spettacolo, racconto nel racconto, creato da un regista che dimostrava di conoscerne tutte le potenzialità espressive e simboliche. La cinepresa, per lo più in inquadrature considerate come soggettive, ottiene effetti di superficie o di espressività materica e cromatica decontestualizzando dettagli dall'insieme dell'esperienza visiva dei personaggi e sospendendoli come momenti assoluti. Nel suo cinema i colori sono segni della potenza creativa del mondo, che il corpo affaticato, consumato, nevrotico non riesce a cogliere. E'allora che gli spazi si fanno vuoti: i colori, così come le ombre sono atti a suscitare luoghi qualsiasi, superfici sconnesse o svuotate.

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