lunedì 17 gennaio 2011

Andrej Rublev


I dubbi se il cinema può essere annoverato fra le arti visive del XX sec. vengono fugati alla visione di qualsiasi pellicola di Andrej Tarkovskij. In particolare del capolavoro assoluto del 1966, Andrej Rublev. Una narrazione epica, sorretta dalle immagini grandiose del regista russo, rende omaggio alla vicende di uno straordinario pittore di icone vissuto tra il XIV e XV sec. La sua vita attraversa uno dei periodi pùn cruciali di quella terra sconfinata, lacerata da carestie, scorribande dei Tartari, lotte fra principi. Un viaggio di oltre due ore, diviso in due parti, ciscuna con prologo ed epilogo. Cruciale l’incontro tra il protagonista Andrej Rublev, ed il celebre pittore di icone Teofane il Greco che gli affida la decorazione della cattedrale moscovita dell’Annunciazione. Il dialogo fra i due artisti è uno dei momenti più toccanti della pellicola, con la giustapposizione fra due autentiche weltanschauung: Teofane crede fermamente in un’esistenza al continuo servizio di Dio, mentre Andrej ripone speranze nell’uomo e nelle sue possibilità di riscattare una condizione malvagia da cui il primo ritiene impossibile sfuggire. Seguirà un altro momento di straordinaria intensità con Rublev incaricato da un principe di affrescare un Giudizio Universale, ma l’artista rifiuta di seguire gli standard dell’epoca, per non atterrire con immagini troppo crudeli il popolo. Atroce lo scherzo del destino, che vedrà tutte le sue maestranze artistiche uccise o accecate dal principe rivale del committente perché invidioso dell’opera. Rublev si ribella a questo gesto ed imbratta le pareti già pronte ad ospitare l’affresco. Nella seconda parte del film, il fratello del principe si allea con i Tartari per spodestarlo e invia delle truppe che con grande violenza fanno scempio e carneficina degli abitanti irrompendo perfino nella cattedrale. Andrej per salvare una donna dallo stupro bieco di un soldato lo uccide, cadendo in preda allo sconforto. Immagina di ricevere una visita dall’amico Teofane, confessandogli di non credere più alla bontà del genere umano, e si chiuderà in un lungo mutismo. Nell’episodio conclusivo, Andrej osserva il giovane Boriska fondere i metalli per costruire una campana che emette il primo tocco alla presenza del popolo e delle autorità. I due si allontanano insieme in un pellegrinaggio senza meta, con due missioni complementari, dipingere e fondere campane. L’epilogo della pellicola è a colori con le riprese delle opere più celebri dell’artista, fino al volto del Cristo bagnato dall’acqua che si trasformerà in quella di un fiume dove pascolano i cavalli. Forse solo alcuni lavori di Pasolini e Bresson, riescono a esprimere il tormento dell’esistenza, la lotta manichea fra bene e male, cui è sottoposto quasi da agnello sacrificale l’artista. Il viaggio di Andrej Rublev fra il male della Storia, equivale alle sofferenze di un popolo che attraverso prove indicibili sopravvive e si innalza ad un livello più alto di spiritualità. Una spiritualità intrisa di fede e misticismo, ma soprattutto comunanza di ideali. Il popolo, la grande madre Russia, il rito della campana. Sono i brividi provocati in me dopo anni, dalla visione di questo film, l’unico dove l’afflato del popolo diventa quello di Dio. E riesce a produrre capolavori immortali, l’arte iconica di Rublev, capace di vincere l’erosione del tempo.

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