martedì 12 aprile 2011

L'alchimia di Peter Greenaway



Con Peter Greenaway si affronta una suggestiva commistione fra pittura e cinema che pochi registi hanno toccato nella loro carriera.


Vertice assoluto della sua arte, a mio modesto parere I Misteri del Giardino di Compton House ( The draughtman’s Contract), una pellicola del 1982 che celebra artisti quali Caravaggio, Constable, Turner, La Tour, Gainsborough ed il paesaggismo di scuola olandese ed inglese.


Come nelle altre pellicole del regista britannico, il plot narrativo diventa un mero espediente per veicolare una sovrabbondanza quasi barocca di richiami colti pittorici. Il protagonista di questo film, un pittore stesso, che verrà ucciso in un complesso gioco di intrighi è la chiave narrativa per riflettere sul sempiterno ambiguo rapporto fra committente ed artista. I


n poco più di un’ora e mezza Greenaway grazie ad immagini di rara bellezza ci catapulta nell’universo del cinema come pittura in un increbile parallelo fra reticolo ottico e macchina da presa. Ogni volta che rivedo questo film, inevitabilmente ritorno agli anni dell’università, alle lezioni di storia dell’arte, all’incanto dell’immagine, e di come si costruisce, e del fantomatico gioco fra luce ed ombra.


Mi ha sempre fatto riflettere una frase di Greenaway “ Al cinema come al teatro, il regista crea la durata in cui si colloca lo spettatore, mentre con la pittura è colui che guarda che crea la propria durata. Davanti ad un quadro si può restare pochi secondi o ore intere e la percezione sarà completamente diversa, diventando sempre più contemplativa che emotiva, un approccio più intellettuale, più cerebrale”.


Ritengo che questo assunto possa essere il passepartout per comprendere un regista spesso definito dai più cerebrale ed ostico anche se suggerisco spesso di godere della bellezza delle immagini e della insuperabile alchimia con la musica donatagli dal favoloso sodalizio con il grande Michael Nyman!

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