La New York di Richard Kern non lascia spazio all’immaginazione. È un paradiso al contrario. Landa desolata brulicante di sangue, sesso, violenza punk, nichilismo spinto all’estremo.
Un mondo dove la legge è la trasgressione. Dopo un trentennio la produzione di uno degli artisti underground per eccellenza, ancora colpisce con il suo impatto emotivo e con la sua ferocia che nel dorato yuppismo dei primi eighties creò scompiglio fra i benpensanti. Nel Lower East Side si muovono fianco a fianco artisti, tossici, pusher, prostitute in un macabro balletto che l’occhio cine e fotografico di Kern riprende come un entomologo. Il suo è un ritrattiamo spietato che denuncia uno dei mali della società capitalistica, l’equazione cinica e disperata di sesso e potere, il tutto condito da una schizofrenia che rende grottesca e parossistica la realtà.
La grande lezione impartita dal regista americano è forse quella del movimento del’77, ovvero la presa di coscienza di un antiautoritarismo in grado di fagocitare nell’autodeterminazione singola le istanze di crisi generazionali. Nei ritratti apparentemente banali di Kern e nelle sue fissità warholiane sta in germe quello che negli anni successivi sarebbe diventato uno dei tratti distintivi della società. Ovvero il voyeurismo. L’aspetto più affascinante di una cosa sta nell’atto stesso di guardarla. Da questa frase dell’artista scivolano a cascata le immagini di futuri e all’epoca inimmaginabili Grandi Fratelli, ma anche il voyeurismo domestico di Youporn, Youtube, Facebook, Twitter…
Da Goodbye 42th street con l’infilata dei teatrini off a luci rosse fino a Deathtrip , bastano pochi mezzi, ma buone idee , a scuotere la civiltà ed affilare i denti per mordere la sessualità bigotta di molte fasce della società. Il sesso di Kern non è ne patinato e castigato, né giocoso o triste, è meramente il termometro con cui misurare il grado di follia delle persone, è un cancro che si è instaurato nella carne e simbioticamente se ne nutre. Nessuno ne può fare a meno, in un crescendo di morbosità vorace e malsana. Le donne di Kern, tra cui l’attrice cantante punk no wave Lydia Lunch, sono maltrattate e violentate nella propria sessualità, ma ciò nonostante gravitano per strada ed in squallidi motel alla ricerca di uomini che possano abusarne in maniera brutale. Il paradigmatico rapporto fra padrone e schiavo, carceriere ed aguzzino, tocca in questi lavori abissi senza precedenti.
Apice dell’arte di Kern, che qui gode della collaborazione di un altro nume tutelare dell’underground, Nick Zedd, è The Manhattan Love Suicides, un’opera composta da quattro singoli episodi, summa dell’esplorazione della sessualità malsana, oscena per il semplice fatto di essere in mostra. Nel primo episodio un artista ossessionato da un individuo che lo pedina finisce per staccarsi brandelli del corpo. Il secondo celebra le voglie di una donna che si eccita in automobile, mentre nel terzo e nel quarto, di scena rispettivamente le voglie autodistruttive masochiste di una coppia e le follie necrofile dell’attore Zedd. Ma per poter onorare al meglio i capolavori underground di Zedd, bisogn guardarli e riguardarli, ogni descrizione è quasi fuorviante per il re dei voyeurismi.
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