giovedì 7 marzo 2013

La conversazione angelica di Derek Jarman





In The Angelic Conversation le idee sopraggiungono dopo le immagini. Subito balza all'occhio la novità stilistica di Derek Jarman che si avvale per la prima volta in un lungometraggio del nastro magnetico e della pellicola confezionando il primo di una serie di ibridi che convincono la critica ad asserire che non si tratta realmente di cinema, un problema di difficile risoluzione per l'interpretazione gnoseologica della sua produzione fino ad arrivare all'inclassificabile Blue. Ossia prima filma in Super 8, per poi passare, attraverso il video, ai 35 mm e tramite escamotage tecnici rinviene un originale mezzo per dare al flusso di immagini un ritmo rallentato e frazionato , quasi una successione di diapositive in movimento, e proiettando intere sequenze alla velocità filmiche la sospensione del tempo, che é una proprietà specifica del quadro, affascinato dalla commistione delle arti, nel sogno di creare una opera d'arte totale. 

L'incipit aveva icone dell'industrializzazione , il panorama più familiare all'artista, la macchina che brucia, la croce relazionata alle industrie in una sorta di occhio bunueliano, discordante espressione del sacro in un aspro habitat naturale deteriorato dalle taniche arrugginite e dai fumi delle fabbriche, un Eden rovesciato. Entrano impetuosamente poi due topos junghiani come il viaggio notturno e le grotte, che sono siti dove si avviano le analisi, le riflessioni meditative sulla propria condizione esistenziale, la conoscenza, luoghi dove il mondo potrebbe essere accomodato in una dimensione esatta, avulsa dai compromessi della realtà esterna. E'una sorta di liturgia, dove lo sprofondare, é come in Rimbaud, la discesa nel lato opposto che é inevitabile e necessaria per risorgere a nuova vita, purificarsi attraverso il male e la morte spirituale e morale come pass salvifico. 

Dove si presenta l'acqua c'é l'abluzione , il lavaggio rituale della terra  e il sole che sorge, ravvisando in questo uso dell'ossimoro acqua - fuoco lo zampino del regista russo Tarkovskij. La sequenza finale del film con il radar, che all'inizio pareva intimidatorio, ed ora é dissimulato dai fiori, delinea il percorso circolare del film, speculare all'ottica non teleologica e progressista del regista.

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