martedì 30 agosto 2011

Lo specchio della vita, ovvero il Meló nei canoni di Douglas Sirk


Ogni tanto mi capita di imbattermi nei miei tour cinefili nella visione dei grandi meló di Douglas Sirk. Tra questi il mio preferito in assoluto rimane "Lo specchio della vita", un titolo che é davvero la metafora della sua produzione cinematografica e soprattutto evidenzia l'oggetto che più di ogni altro rappresenta la sua cifra stilistica: lo specchio.


La chiave di lettura di quel sottile gioco dei rimandi per cui i personaggi si costruiscono uno spessore per apparire, cercando di nascondere quello che sono realmente. Gli specchi sono i confini di un mondo che opprimono i personaggi, una serie di porte chiuse che delimitano un'arena da cui é impossibile fuggire. Anche per una donna affascinante e di classe, impellicciata ed ingioiellata quale Lana Turner. Sirk firma con una regia di gran classe, il rincorrersi in parallelo dei destini di due donne sole che lottano per migliorare la propria esistenza e quella delle rispettive figlie, formando un atipico nucleo familiare.


Maschilismo, riscatto sociale, arrampicata sociale, razzismo, in questo film Sirk mette a nudo il lato oscuro della società americana, le sue contraddizioni che frenano quello che una volta si chiamava American Dream. Il tutto senza rinunciare al confronto fra passione e sentimento, nel rigore del movimento.


Perché come diceva lo stesso regista: " Qui la cosa principale é la macchina da presa. Perché c'é emozione nel film. Il movimento é emozione, in un modo in cui non può mai accadere in teatro".

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