lunedì 30 marzo 2009
Viaggio al termine della Notte
Non c'è distruzione e morte senza riso, non c'è sangue, carne putrefatta e lordura senza la potenza del verbo. Il verbo soprattutto, quella parola gravida di contra pzione sillabica che in un autodafè sadico si prostra solo al silenzio della punteggiatura. Avevo diciotto anni quando mi sono abbandonato per la prima volta all'euforia folle ed al ghigno mefistofelico di Céline, il più grande romanziere del XX sec. Non ho esitazioni alcune, come non faccio torto a nessuno se parlo di Viaggio al termine della notte come il più grande romanzo del secolo scorso. Un'odissea incredibile fra gli orrori della guerra, lo scandalo della scoperta di un'umanità disumana, dove l'olezzo ed il tanfo dei bisogni corporali si unge dell'assurdità e delle brutalità dei conflitti. Osteggiato in vita, ed anche da morto, da una moltitudine di idioti che ne riducevano la grandezza a causa delle sue scelte politiche, Céline, il dottor Destouches, creato secondo Bernanos da Dio per dare scandalo, è stato il più visionario ed assoluto protagonista della letteratura europea del '900. E con lui a distanza di settant'anni ci perseguita il suo fustigare i costumi e la stupidità umana, ma soprattutto la grandissima prosa di Celine. Parole che si rincorrono, lottano fra di loro creando una musica, anzi una sinfonia, ...la sinfonia della Storia.
Il Viaggio è il suo romanzo che più amo, ma tutti sono straordinari, però andiamo in ordine cronologico, quasi per un climax wagneriano, per accogliere questa prosa che si sfalda e si dissolve.
Una sola avvertenza, dal Viaggio non si esce mai più, è il Maelstrom della Letteratura....
l'Ade del verbo.
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